
Se le
rubriche di costume di tutte le riviste recano labili tracce dell’«altro», va detto
anche che tutti i periodici dedicano
almeno un buon servizio (reportage, primo piano,
approfondimento, ecc.), spesso con foto di qualità e una buona contestualizzazione,
all’analisi di fenomeni economici, culturali, antropologici su scala globale.
I settimanali con più del 20% di pagine dedicate agli esteri riservano inoltre a notizie di attualità, con un taglio più rapido e divulgativo e con una notiziabilità spesso legata al sensazionale, delle
rubriche fisse (ad esempio Latinos, MediOrienti, AfrAsia su Sette; Mondo su l'Espresso; Esteri su Il Venerdì).
Tra le molte altre osservazioni possibili sui criteri di notiziabilità (quali e quante
notizie dal mondo assurgono a dignità di pubblicazione?) e sulle diverse forme
di trattamento giornalistico, ci sembra interessante rilevare la frequente adozione di
forme stereotipate implicite di comunicazione.
Oltre a servizi che cercano di rendere in modo corretto luci e ombre
del contesto descritto e di dar voce ai protagonisti degli eventi narrati, sono infatti
ricorrenti articoli portatori di cliché, riconducibili per lo più a tre categorie:
1) l’altro
visto come «carente» di qualcosa:
troviamo qui l’atteggiamento del solidarismo
paternalistico, ma anche l’ideologia di uno sviluppo economico e culturale che non
può che seguire i nostri modelli;
2) l’altro visto come «eccedente» di qualcosa:
in
questa categoria si ritrovano le trattazioni che implicano una persistenza nelle culture
lontane di qualcosa di positivo e perso dall’Occidente (lo zen, la medicina ayurvedica, ecc.);
3) l’altro «nemico»:
visione di cui sono portatori tutti gli allarmismi sulle invasioni
migratorie (umane e/o virali) presenti e future.
Elvio Schiocchet