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La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Di nuovo in Siria

Da alcuni giorni padre Paolo Dall'Oglio, espulso dalla Siria nel giugno 2012, è rientrato nel Paese viaggiando nelle zone controllate dalle forze di opposizione al regime di Assad. In questi post, il racconto del suo viaggio.

27 febbraio 2013

28 febbraio 2013

1° marzo 2013


27 febbraio 2013

Ieri, 26 febbraio, ho registrato due trasmissioni Tv. La prima, mentre si sentono spari e scoppi in tutta la regione, la giriamo accanto a un quartiere raso al suolo da una bomba che qui si chiama «faraghiya», «a vuoto» o «a soffio». Sono ordigni lanciati dagli aerei e che producono delle distruzioni immani su praticamente un ettaro. Fanno gli stessi danni di un missile scud ma si può centrare meglio il bersaglio.
La seconda trasmissione, girata sotto un bell'olivo nel cortile d'una moschea, era su una proposta di «mano tesa per la riconciliazione» da parte dell'esercito libero e le comunità civili arabe sunnite che circondano i due paesi sciiti di ez-Zahra' e di en-Nabbel. Questi due paesi, che insieme hanno circa 25.000 abitanti, sono di fatto basi militari del regime con appoggi di uomini di Hezbollah e iraniani. La necessità strategica di forzare queste basi è evidente a tutti, ma c'è un vero desiderio di evitare massacri e ritrovare l'antica convivialità. Si cerca di attivare una mediazione curda che potrebbe essere efficace. Si è molto parlato di ostaggi e scambi di prigionieri... Anche in questo si spera nell'efficacia d'una mediazione curda.

Siamo partiti di notte per riportare un membro della troupe al confine turco. Arriviamo per miracolo in tempo per la chiusura della frontiera alle 20, nonostante che la macchina si fermi per tre volte a causa del diesel «fai da te» delle centinaia di raffinerie artigianali della Siria libera. Tornando dalla frontiera ci imbattiamo nei resti di una vettura dell'esercito libero (quattro morti) distrutta da un missile lanciato a partire da uno dei paesi sciiti...
Ci dirigiamo verso Ovest fino alla zona frontaliera e montagnosa dove il fiume Oronte entra in Turchia. Siamo a Darcush e traversiamo il fiume in quella vasta sacca sunnita e cristiana che si spinge verso la costa, verso il porto di Lattakia. Siamo ricevuti magnificamente nella famiglia sunnita d'un giornalista della nostra equipe. Mi raccontano che gli abitanti alauiti del paese sono partiti insieme alle forze sconfitte del regime e sono già sostituiti dagli sfollati sunniti di altre zone! Potranno mai ritornare? Molti qui lo sperano.

Al mattino mi rimetto in viaggio con un gruppo di accompagnatori coraggiosi. Riattraversiamo il fiume con qualche apprensione: il regime tira cannonate sulla zona. Ritrovo i sentimenti e le sensazioni libanesi degli anni Settanta e Ottanta.
Passiamo montagne piene di fiori: una primavera davvero magnifica dopo un inverno particolarmente piovoso.«Tempo da mig»!
Arriviamo all'aeroporto militare di Taftanaz, teatro d'una delle più feroci battaglie vinte dai rivoluzionari. La distruzione è ovunque e si traversano contrade spettrali dove tuttavia la vita ricomincia invincibile!
Arrivo finalmente alla città di Saraqeb e i miei compagni ripartono in fretta a causa del bombardamento aereo. Un rivoluzionario mi porta sul luogo sul quale un aereo ha sparato un missile. Relativamente poche le vittime, poiché la città è semideserta: una donna e la sua bambina; un altro figlio è gravemente ferito.
Mi portano a vedere una postazione antiaerea piuttosto primitiva... Poi via, verso sud fino a xxx, una grossa borgata a nord di Hama. Da qui in poi sarà tutto più difficile. Tredici rivoluzionari sono morti ieri cercando di aprire un varco per i rifornimenti destinati alla città di Rastan.
Sono ospite di una brigata islamica... È interessante notare che il livello di radicalità islamista è misurato dal fumo! La Jabhat al Nusra, il raggruppamento qaedista, vieta il fumo del tutto. Ho incontrato un ragazzo cacciato perché fumava di nascosto. I miei amici hanno solo il divieto di fumare in pubblico e lo rispettano... Invece nell'ufficio dei servizi informatici via satellite dove mi trovo si può fumare tranquillamente. È anche ben riscaldato da una stufa artigianale a gusci di pistacchio di Aleppo, nota specialità della regione.
Ecco è tutto per ora... Buona notte, vado fuori per una sigaretta e poi mi metto a letto... Si prende una coperta e ci si stende dove si vuole... Il livello di pulizia di questi ragazzi è in generale straordinario.


28 febbraio 2013

Se non passa nemmeno la farina
Mentre a Roma si fanno promesse la Siria è tutta a ferro e a fuoco.
La strada per il Sud è bloccata e gli aiuti umanitari non possono proseguire per Homs. Ho morso il freno tutto il giorno con gli autisti e la scorta degli aiuti … nulla da fare, «non passa neanche una formica»!
Questa zona è in mano ai Liberi di Sham e il Fronte al-Nasra. Visti da vicino fanno meno paura di quanto si dica, anzi alcuni hanno proprio delle facce da padri di famiglia per bene. Ne guardavo uno qui accanto a me che sembrava proprio un terrorista delle caricature coi ciglioni e il nasone … un ragazzo tenerissimo!
Sono venuti a trovarmi per fare conoscenza. Abbiamo avuto delle discussioni interessanti sul piano interreligioso come sul piano politico. Il loro capo diceva che era un fatto dovuto alla misericordia di Dio che le potenze occidentali non fossero intervenute in Siria perché questo in definitiva aveva consentito alla motivazione islamica di affermarsi e di marcare la rivoluzione con chiarezza. «La Siria sarà l’inizio della liberazione di tutto il mondo musulmano!» Naturalmente non è facile capire fino a che punto le elezioni libere faranno parte del programma.
Il fatto evidente è che la rivoluzione islamica siriana corrisponde a una grande processo sociale di emancipazione dell’immenso serbatoio umano rurale e proletario urbano. I combattenti islamici sono a larghissima maggioranza siriani e le loro guide sono siriani. Gli intellettuali sono i giovani di queste zone che hanno avuto accesso alle università. Il responsabile del centro informatico che mi ospita è un laureato in fisica …
Spero di passare verso sud domani … ma se non passa la farina sarà difficile che l’esercito libero faccia passare me. Hanno troppa paura per la mia incolumità e non vogliono farmi correre rischi. Forse sarò costretto a tornare in Turchia … qui mi vogliono troppo bene.


1° marzo 2013

Fare i conti con il futuro islamista
Sono nella città di Tamanaa, ottanta chilometri nord est di Homs. La città è spettrale per l’assenza degli abitanti dopo trenta giorni di bombardamenti incessanti. Il fronte è sull’autostrada. Il regime cerca di interrompere la via di affluenza degli aiuti alle popolazioni insorte. In effetti dal Libano è difficile introdurre aiuti per l’azione diretta dello Hezbollah e dalla Giordania gli aiuti entrano al contagocce.
Le carovane di aiuti autotrasportati sono bloccati in questa zona mentre più a nord, ai centri militari del regime di Wadi ed-Deyf e al’Hamidiya accerchiati nella zona di Maarra, l’esercito libero cerca di sbloccare la situazione. Il regime preme verso nord per rompere l’accerchiamento a Khan Shaykhun. In effetti i due eserciti hanno bisogno di aprirsi la strada: il regime verso Aleppo e l’esercito libero verso sud.
La necessità di ottenere una via umanitaria garantita internazionale è reciproca e quindi potrebbe essere accettata dalle due parti. Questo non risolverebbe la situazione che in parte, visto che la necessità strategica militare è speculare per i due campi.
Se è vero che in generale il regime perde piede e indietreggia su tutti i fronti, tuttavia agisce ormai chiaramente in una logica connessa con la creazione di una entità separata tra il fiume Aasi (Oronte) e il mare, a supremazia alauita ed appoggio russo, iraniano, sciita libanese e iracheno.
In effetti io potrei andare a Damasco da qui via il deserto a est ma non potrei entrare in Libano se non attraverso un’avventurosa traversata in montagna.
Trovare una formula, per salvare col negoziato l’unità del Paese e l’incolumità delle popolazioni a rischio di una guerra civile più lunga e più feroce di ciò che abbiamo visto fino ad oggi, resta la necessità numero uno accanto ad un aiuto coerente alla rivoluzione democratica e il ristabilimento della legge su tutto il territorio nazionale. L’autodeterminazione di colore islamista di questo popolo è ormai un fatto irreversibile col quale occorre semplicemente fare i conti facilitando un riequilibrio democratico.
La minoranza cristiana residua è obbligata a fare i conti con i fatti sul territorio secondo le diverse situazioni (Kurdistan siriano, zona a predominanza alauita, regioni sunnite, zona drusa a sud-ovest. I cristiani possono fare ancora qualcosa per salvare l’unità nella democrazia del Paese, ma devono separarsi dal regime e diventare propositivi. Non c’è in generale nulla di interessante da attendersi dai Pastori, ma molto possono i cittadini siriani cristiani sia nel Paese che rifugiati all’estero.



 

© FCSF – Popoli, 1 marzo 2013
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