Il cimitero Al Qarafa, al Cairo, conosciuto come «la città dei morti», ospita tra le tombe migliaia di famiglie che vi hanno trovato casa. Il venerdì, durante la visita rituale, i parenti del defunto e gli abitanti condividono il pranzo funebre, consumato nel cortile, sotto la tenda delle condoglianze (kheima) o sulla sepoltura. Pane (detto ’aish, vita), fuul e tameya sono offerti ai bambini, agli anziani e ai mendicanti, figure la cui precarietà li avvicina ai defunti, per ottenere baraka, cioè benedizione. L’antica abitudine di associare il pane e le fave al culto dei morti - ricorda l’antropologo Lombardi Satriani citando gli albanesi dell’Italia meridionale - è segnalata in tutto il Mediterraneo. Del resto il fuul medames, a base appunto di fave e considerato il piatto nazionale egiziano (si ritiene risalga ai faraoni), si ritrova in tutto il mondo arabo, dal Sudan allo Yemen, all’Iran, nel Mediterraneo e nell’area asiatica fino in Cina. La fava, il cui utilizzo risale almeno al 6000 a.C., si conosce in tre varianti: faba maior, o fava grossa, faba minor, favino o fava piccola, faba equina, favetta o fava cavallina. Ricca di potassio, fibre, zolfo, magnesio, zinco e rame, è considerata un alimento molto energetico. Forse è quel suo fiore bianco maculato di nero ad aver ispirato la relazione con la morte. Il famoso esperto di gastronomia Pellegrino Artusi, riportando la ricetta delle «fave dei morti», i dolci rituali consumati in Italia, infatti scrive: «Festo pretende che sui fiori di questo legume siavi un segno lugubre e l’uso di offrire le fave ai morti fu una delle ragioni per cui Pitagora ordinò a’ suoi discepoli di astenersene; un’altra ragione era per proibir loro di immischiarsi in affari di governo, facendosi con le fave lo scrutinio nelle elezioni». Fave erano offerte alle Parche, a Plutone e Proserpina, divinità degli inferi. Erano sparse sul feretro quale cibo dei morti, le cui anime restavano intrappolate nel baccello. Ma come sempre accade, il negativo si accompagna al positivo: gettando alle spalle alcune fave nere i romani scacciavano gli spiriti dei morti nei giorni di maggio a loro dedicati. Fave magiche, rammenta una celebre fiaba, portano ricchezza e benessere; con questo spirito erano lanciate sulla folla durante le feste in onore della dea Flora. E con questo spirito, gli inconsapevoli moderni con l’avvio della bella stagione si riversano nelle campagne mangiando fave, cibo della vita.
La ricetta PARENTE DEL FALAFEL Il fuul medames, o foul mudammas, è preparato con fave ammorbidite in acqua per una notte, bollite e condite con olio d’oliva, limone, sale, pepe, cumino e guarnite con uova sode. Si possono aggiungere anche cipolle, aglio, erbe aromatiche, burro, pomodori, peperoni, pasta di semi di sesamo (tahina). Varianti sono il fuul mubarak, con aggiunta di panna e uovo in camicia, e il fuul nabit (o nabeid) con fave bianche essiccate. Fave ridotte in crema farciscono panini detti pita e sono utilizzate nella preparazione del ta’ meyyah (falafel o polpetta di ceci). |