Si è svolta a Milano, all’inizio di ottobre, la manifestazione «Milano al plurale», promossa dalla nostra rivista insieme alla Fondazione culturale San Fedele e a diversi altri partner: una serie di eventi che hanno posto al centro dell’attenzione la diversità etnica e culturale nello spazio urbano. Come ha sottolineato in modo particolare nel suo intervento il noto antropologo Marc Augé (cfr pag. 34), la sfida delle città contemporanee è quella di conciliare nello spazio urbano «il senso del luogo e la libertà del non-luogo». Una ricerca promossa dalla Fondazione Casa della Carità di Milano e recentemente pubblicata (Governare città plurali, Franco Angeli 2012), la più ampia mai realizzata in Italia sul tema, ha analizzato le modalità con cui diverse città europee e italiane hanno tentato di rispondere a questa sfida. Bandito il multiculturalismo dal lessico politico, una prima tendenza è quella della celebrazione della diversità nei suoi aspetti estetici, musicali, gastronomici, in senso lato culturali. I governi urbani pongono l’accento sull’arricchimento che deriva dalla convivenza pacifica di persone e gruppi di origine diversa. Coltivare tradizioni e identità culturali proprie non contrasta con l’integrarsi nella vita pubblica. Anzi, apporta stimoli nuovi alla città di tutti. La seconda tendenza, rispetto alle manifestazioni più problematiche dell’interazione tra diversi, è l’enfasi posta sulla promozione della coesione sociale. Non si parla volentieri di interventi a favore degli immigrati o delle minoranze etniche, ma piuttosto di progetti per la riqualificazione di quartieri sensibili, di promozione del successo scolastico dei minori, di sostegno alle famiglie in difficoltà. Va da sé che gli immigrati sono spesso molto rappresentati tra i beneficiari di queste misure, ma si cerca di evitare di contrapporre «noi» e «loro». Le organizzazioni della società civile (associazioni, sindacati, organizzazioni ecclesiali…) sono spesso partner e anche protagoniste di queste iniziative. Un terzo spunto riguarda la promozione del dialogo interreligioso, anche in città europee molto secolarizzate. Si può dire che le religioni tornano nello spazio pubblico come motori della mutua comprensione, del rispetto reciproco, della collaborazione tra i diversi per obiettivi comuni. C’è poi una quarta eventualità: quella di politiche locali di esclusione degli immigrati. La crisi economica e la perdita di consensi delle forze politiche tradizionali alimentano questi fenomeni, dal Nord Italia alla Catalogna. Ma su scala europea si tratta della retroguardia di un continente che sta prendendo coscienza della necessità di governare con saggezza ed equilibrio la propria crescente diversità culturale, soprattutto a livello urbano, dove le persone vivono e si incontrano. Nel frattempo, nel nostro Paese la xenofobia municipale non frutta più i consensi di una volta.
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