Un anniversario, in questo 2011, è passato quasi sotto silenzio: il 28 luglio si sono celebrati i sessant’anni dall’approvazione della Convenzione di Ginevra sul diritto d’asilo per i perseguitati allora definiti «politici». Per contro, le imbarcazioni di fortuna arrivate nel corso di questi mesi dalle coste nordafricane, dalla Tunisia e poi dalla Libia, ci hanno ricordato in modo molto più drammatico e urgente che nel mondo contemporaneo migliaia di esseri umani cercano scampo al di fuori dei loro confini, e che tra gli obblighi dei Paesi che vogliano definirsi civili rientra quello di accogliere le persone che domandano asilo, valutare caso per caso le loro ragioni, accordare protezione a quanti hanno fondati motivi per chiedere di essere accolti. Nel tempo, il concetto di rifugiato si è evoluto: non si tratta più soltanto di élite intellettuali, perseguitate per motivi squisitamente politici, ossia per le loro opinioni, per le critiche ai governi, per le richieste di democrazia e libertà religiosa. Le convenzioni internazionali hanno dovuto, non senza fatiche e resistenze, aprirsi ad altre forme di rifugio, temporaneo e umanitario: i casi tipici sono quelli dei profughi di guerra, come nel caso dei Balcani negli anni ’90 e oggi della Libia, oppure delle minoranze interne perseguitate per motivi di appartenenza etnica o religiosa, oppure degli scampati a catastrofi naturali e sconvolgimenti dell’ambiente (come le trivellazioni petrolifere). Le turbolenze del mondo contemporaneo generano ogni anno centinaia di migliaia di casi del genere. Basti pensare che oggi i Paesi che producono i numeri più alti di rifugiati sono quelli coinvolti in conflitti armati e nei loro strascichi: Iraq e Afghanistan sono i primi della lista. I più coinvolti nell’accoglienza sono i Paesi confinanti, come il Pakistan. Malgrado i timori di opinioni pubbliche e governi dei Paesi ricchi, l’80% dei rifugiati è accolto nei Paesi in via di sviluppo. Ciononostante, i governi dell’Unione europea hanno varato norme più restrittive per l’accoglienza, temendo un sovraccarico di richieste. Tra di esse rientra l’obbligo di presentare domanda di asilo «nel primo Paese sicuro». Per questo motivo l’Italia, insieme alla Grecia e alla piccola Malta, si trova in prima linea. Non è più consentita la pratica, spesso adottata tacitamente nel passato, di lasciar transitare gli aspiranti rifugiati affinché presentassero domanda di asilo al di là delle Alpi. Ma i numeri dei rifugiati accolti, malgrado il picco di quest’anno, sono ancora molto lontani da quelli dei partner europei. Basti ricordare che l’Italia ammette circa 1 rifugiato ogni 1.000 abitanti, la Germania più di 7, la Gran Bretagna quasi 5, Danimarca, Svezia e Olanda tra i 4 e i 9 (dati Unhcr, l’agenzia dell’Onu che si occupa appunto dei rifugiati). Dopo una lunga reticenza sul tema - non abbiamo neppure una legge organica sull’asilo e solo da pochi anni esiste un sistema organizzato di accoglienza, lo Sprar -, siamo chiamati dalla storia a onorare il nostro rango di Paese democratico e solennemente impegnato nella difesa dei diritti umani.
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