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Lettere da Strasburgo
Rosario Sapienza
Ordinario di Diritto internazionale e Diritto dell'Unione europea nell'Università di Catania
I rom esclusi e quelle normative europee ignorate

Sembra che, nella pur civilizzata Europa, i rom non li voglia proprio nessuno.

Lo scorso ottobre Leonarda Dibrani, una quindicenne rom che frequentava con profitto un liceo francese, venne prelevata durante una gita scolastica davanti ai suoi compagni e professori e rispedita in Kosovo con tutta la sua famiglia, perché in condizioni di irregolarità quanto alle leggi sull’immigrazione.

L’episodio causò un’ondata di proteste contro il governo socialista e la sua politica di fermezza repubblicana contro i sans papiers, che si poneva in singolare continuità con le criticatissime posizioni dei tempi di Sarkozy. Il presidente Hollande ci mise pure del suo, offrendo a Leonarda la possibilità di rientrare in Francia per riprendere gli studi, ma senza la sua famiglia. Dalla quale la ragazza ha dichiarato di non volersi separare. Anche in Italia la vicenda della famiglia rom causò qualche imbarazzo, dato che, prima di trasferirsi in Francia, essa aveva lungamente soggiornato nel nostro Paese.

La questione non è arrivata alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma senza dubbio non mancherebbe materia per un ricorso a Strasburgo dato che l’articolo 1 della Convenzione obbliga gli Stati parti a riconoscere i diritti garantiti dalla Convenzione a chiunque si trovi sottoposto alla propria giurisdizione. Dunque sia ai propri cittadini, sia agli stranieri, regolari o irregolari che siano.

Tanto per cominciare, il provvedimento francese contrasta ictu oculi con l’articolo 8 della Convenzione che vieta indebite ingerenze nella vita familiare e certamente la vita che Leonarda conduceva con i suoi parenti nel Centro di accoglienza di Levier era una vita familiare degna di tutela (a partire dalla celeberrima decisione del 21 giugno 1988 nel caso Berrehab contro Paesi Bassi, ric. 10730/84).

Inoltre, la Corte ha fondato sulle previsioni dello stesso articolo una coerente giurisprudenza che obbliga gli Stati a tener sempre presente il cosiddetto best interest of the child, un principio giuridico ricavabile dalla normativa internazionale: essa prevede che, nell’adozione di provvedimenti che riguardino minori, si debba sempre scegliere la soluzione che meglio tutela il minore stesso (cfr. oltre al già citato caso Berrehab, più recentemente la sentenza della Corte del 26 novembre 2013 nel caso X contro Lettonia, ric. 27853/09).

Per contro, l’articolo 4 del Quarto Protocollo addizionale alla Convenzione (la cui forza vincolante è la stessa della Convenzione per gli Stati che ne siano parti) vieta le espulsioni collettive e dunque dispone che non si possa espellere collettivamente una famiglia, ma che si debba adottare un singolo provvedimento di espulsione per ciascuna persona.
Concluderei che da tutto ciò possa senz’altro evincersi l’obbligo per la Francia di “tollerare” la presenza sul proprio territorio di Leonarda e della sua famiglia, almeno fino a quando la ragazza non abbia raggiunto la maggiore età (cfr. la decisione della Corte del 31 gennaio 2006 nel caso Rodrigues da Silva and Hoogkamer contro Paesi Bassi, ric. 50435/99).

A queste considerazioni, che valgono per qualunque immigrato irregolare in qualunque Paese parte della Convenzione europea dei diritti umani, altre se ne aggiungono che hanno riguardo alla condizione dei Rom in Europa. E qui francamente nessuno degli Stati europei può vantare quarti di nobiltà. Men che meno l’Italia, che ha evitato una condanna della Corte nella causa Sulejmanovic e altri e Sejdovic e Sultanovic contro Italia (ricorsi 57574/00 e 57575/00), dopo la decisione di ammissibilità del 14 marzo 2002, offrendo ai ricorrenti (rom che lamentavano un provvedimento di espulsione collettiva) di rientrare in Italia.

Ma la violazione dei diritti di rom e sinti, in particolare in materia di diritti abitativi, è stata accertata dal Comitato europeo per i diritti sociali (organo istituito dalla Carta sociale europea, “l’altra” convenzione del Consiglio d’Europa in materia di diritti economici e sociali) con la propria decisione (che non ha però, a differenza di quelle rese dalla Corte di Strasburgo, valore di sentenza) del 25 giugno 2010 su ricorso 58/2009 promosso contro l’Italia dal Cohre (Centre on Housing Rights and Evictions).

Nel novembre 2013, poi, il Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani, Nils Muižnieks, ha indirizzato una preoccupata lettera al sindaco di Roma, Ignazio Marino, esprimendo le proprie valutazioni sul misconoscimento dei diritti dei rom e sinti nel territorio del Comune. La via per il riconoscimento dei diritti dei rom e sinti è ancora lunga.
 

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© FCSF – Popoli, 3 gennaio 2014