Gli accordi di Oslo erano ormai solo il nome d’un fallimento. Gaza era da anni un grande campo di concentramento, un «gulag» da un milione e mezzo di disperati. Gli Stati della regione soffrivano di schizofrenia: d’un lato vigeva la logica della conservazione dei privilegi di casta, con tanto più cinismo quanto più prolungata era la crisi economica, dall’altro aumentava la retorica populista dell’odio nazionale e religioso verso il nemico incolpato d’ogni ritardo, fallimento e corruzione. Dopo il Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente dell’ottobre 2010, s’era parlato di nuovo d’una deliberazione dell’Onu riguardo all’internazionalizzazione della città di Melchisedec. Ma il presidente statunitense era già in lizza per la rielezione cercando di soddisfare i diversi elettorati. L’Autorità palestinese s’era come disciolta per effetto del naufragio dei colloqui indiretti. In Occidente la si accusava di scarso realismo per non aver accettato grata l’offerta d’un non-Stato, privo di continuità territoriale, circondato da un muro e ferito da mille colonie in espansione, espropriato d’ogni luogo sacro e delle memorie dei padri. Iniziò allora un’ondata di migliaia di attentati suicidi in tutto il mondo prendendo di mira tutto ciò che fosse percepito come occidentale, ebraico e cristiano; in gran parte imprevedibili attacchi «fai da te», addirittura «semplici» suicidi, appena colorati di jihad. Ciò portò alla separazione delle popolazioni e alla ghettizzazione delle minoranze. L’insicurezza cronica finì per sfiancare l’economia mondiale. Ci furono alcune avvisaglie: qualche suicidio di gruppo, assalti a mani nude a basi militari, tentativi di penetrazione nelle basi nucleari, sabotaggi di petroliere con danni ambientali irreparabili, attacchi chimici a sorgenti e fiumi. Lo Stato sionista profittò della febbre elettorale americana, dello sfaldamento dell’eurozona, dei disastri iracheno e afghano e delle guerre civili turche, sudanese e nigeriana... Simultaneamente furono messe fuori uso le basi nucleari pachistane ormai quasi in mano talebana e furono attaccate dal cielo le basi atomiche iraniane. Ci furono allora tre mesi d’incredibile silenzio; un’aria di terremoto imminente. Poi su internet si sparse la voce che il Mahdi era giunto, che il Figlio di Maria era già a Damasco e l’armata di Enoch-Idris e Khudr-Elia e i Sette Dormienti era schierata. Altri siti annunciavano l’avanzata di Gog e Magog, un numero immenso già in marcia. Poi la gente si mosse, come per l’ordine d’un flauto magico, ciascuno prese con se il tappetino di preghiera e s’abbigliò con un lenzuolo bianco, partendo con ogni mezzo verso la Moschea al-Aqsa, ormai praticamente chiusa al culto musulmano. Decine di milioni in marcia, senz’armi, solo un gran desiderio di morire laggiù per la giustizia. I regimi arabi non poterono far nulla per arrestare l’ondata e furono travolti, ma nessuno prestava loro attenzione. Tutto il movimento era impegnato in quel pellegrinaggio assurdo. Dopo il tentativo ridicolo di fermare la massa con i lacrimogeni, entrarono in azione gli ordigni chimici e biologici. L’acqua del Giordano stagnava contro dighe di cadaveri e, benché fosse abbondante nella stagione primaverile, non giungeva più al Mar Morto. La marea salì verso il monte Sion da ogni direzione, i sudari ormai scarlatti di sangue e polvere. Si sentiva un rombo continuo, misto d’armi da fuoco impazzite, esplosioni dal cielo e sandali sull’asfalto. Gli storici discussero a lungo su chi avesse dato l’ordine finale. Un soldato che aveva giurato a Massada premette quel bottone bianco e celeste nella base sotterranea del Neghev. Da allora al posto del monte c’è un immenso cratere.
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