Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Idee
Cerca in Idee
 
Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
Io sono con te

Dai Vangeli e dai Vangeli apocrifi, la storia di Maria, madre bambina e rivoluzionaria per grazia, fermezza e fiducia infinita nel proprio figlio, superiore alla bruttezza ottusa e alla violenza cieca del mondo. Guido Chiesa (Il partigiano Johnny, Lavorare con lentezza) narra Maria dall’attesa di Gesù fino alle domande spiazzanti del figlio dodicenne ai sacerdoti del tempio, sulle tracce del Vangelo di Luca: «E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte». Realizza uno dei film più anomali e intensi del cinema italiano degli ultimi anni. Quasi una versione cinematografica di grazia e bellezza di alcune maternità di Piero della Francesca. Quasi una versione in immagini e verbo di certi pezzi straordinari della Buona novella di Fabrizio De André, dedicati alla madre di Cristo.
C’è un richiamo soprattutto alla canzone L’infanzia di Maria: «Dicono fosse un angelo a misurarti il tempo fra cibo e Signore», in cui l’angelo sembra lo stesso Gesù bambino e il Signore pare rifulgere negli occhi decisi e dolci e nel sorriso della madre, la cui prima preghiera è racchiusa nella straordinarietà d’animo, al contempo buono e ribelle, come poi il proprio figlio. Maria infrange le regole del sangue (rifiuta la circoncisione del bambino), così come Gesù rifiuta il sacrificio con cui si macchia il tempio a ogni agnello sgozzato: «Perché tutto questo sangue?». Entrambi accusati di non conoscere «la virtù dell’obbedienza», entrambi mossi solo dal proprio cuore, mosso a sua volta dal sentimento più Alto.
Nessun santino stucchevole: il sangue reale del male macchia più volte lo schermo e i nostri sguardi. Solo la straordinarietà di una madre e del proprio figlio, capaci di infrangere le regole più retrive e l’assurdo detto popolare secondo cui è «meglio la cattiveria di un uomo che la bontà di una donna».
Il critico Ezio Alberione scriveva a proposito de La buona novella (in Fabrizio De André - Accordi eretici, AA.VV., 1997): «Si confronta con la vertigine della storia sacra, ma lo fa a partire dagli “apocrifi”, cioè da quei testi che, pur raccontando la vita di Gesù e dei suoi seguaci, sono stati esclusi dal canone di quelli cosiddetti “ispirati”. Questa scelta a latere dell’ufficialità gli permette di confrontarsi soprattutto con l’umanità, le speranze e i dolori dei protagonisti di una storia straordinaria».
L’ispirazione del regista pare cominciare da qui, dall’idea di potere mostrare soprattutto il riflesso dell’educazione di una madre dolce, umana e ribelle, nella vita quotidiana in Palestina. Sembra narrarci il miracolo universale di quella madre e, per estensione, di ogni madre. Cucire l’alto (l’Altissimo) e il basso. Nella vulgata: «Il Signore ha creato le madri, perché non può essere ovunque». 

© FCSF – Popoli, 1 gennaio 2011