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Sapori&Saperi
Anna Casella
Antropologa
Rapa, l’ortaggio umile
nobilitato dalle fiabe
Di sicuro non si può considerare un alimento pregiato: ben difficilmente comparirebbe sulle tavole raffinate o in un pranzo per ospiti di riguardo. Al contrario la rapa (brassica rapa rapa) si presta, con gli altri ortaggi invernali come cavoli e verze, a ricordare tutto ciò che sa di gelo intenso, di fatica della raccolta, di cibo essenziale senza altri attributi.
In Asia, sua terra di origine, la rapa era conosciuta dai nomadi (mongoli e avari), i quali ne utilizzavano anche le foglie come foraggio per i cavalli. Poi arrivò in Europa, e finché non venne sostituita dalla patata nel XVII secolo, essa costituì il cibo del popolo. Fu apprezzata, anzi, come l’emblema di una cucina semplice, che non racconta bugie. Nel XVII secolo, Nicolas de Bonnefons, agronomo e valletto di camera di Luigi XIV, affermava perentorio: «La minestra di cavoli deve essere interamente di cavolo, quella di porri di porro e quella di rape di rapa».
E forse era un modo per nobilitare la povera rapa la quale, essendo costituita in gran parte di acqua, qualche sale minerale, poca vitamina C, ma molta cellulosa, è anche poco digeribile. Così negletta che non è mai neppure stata annoverata tra i medicamenti popolari, se si esclude l’uso come decotto mescolato a grappa e miele per alleggerire i disturbi di gola. Tuttavia, la modesta rapa, antenata della barbabietola da zucchero, si è diffusa in tutta l’Europa dell’est dove costituisce la base per le zuppe invernali, giungendo anche in Italia. I friulani, ad esempio, vanno fieri della brovada, che essi preparano macerando lamelle di rapa nelle vinacce, cucinandole poi in padella.
A dire la verità, proprio quel carattere plebeo, così vicino alla terra e alla fase primordiale della raccolta, ha fatto della rapa il simbolo della volubilità e della fortuna: la sua rivincita l’ha avuta nella letteratura, quella popolare e quella dotta.
Nelle favole, le rape diventano enormi, si prestano a ristabilire la giustizia (almeno quella culinaria) e a punire i troppo avidi. Come nella fiaba dei fratelli Grimm, dove un contadino povero offre la sua rapa gigante al re e ne viene ricompensato con denaro, campi, oro e greggi, mentre al fratello ricco che, invidioso della fortuna del contadino, aveva a sua volta portato doni sperando in una ricompensa maggiore, tocca come cosa più preziosa proprio l’enorme rapa. Invece, nella fiaba popolare russa, la rapa gigante di due vecchi contadini, sradicata dall’orto con l’aiuto della famiglia e di tutti gli animali, diventa il cibo che ricompensa della fatica. Come a dire: sarà pure una semplice radice, ma può davvero fare felici.   
Anna Casella Paltrinieri


La ricetta
UNA ZUPPA SEMPLICE E NATURALE
Far soffriggere una cipolla intera nel burro o nell’olio.
Quando è tutto rosolato aggiungere le rape sbucciate e, eventualmente, altri ortaggi di stagione e un po’ di brodo vegetale. Far cuocere a fuoco lento finché le rape non diventano morbide e possono essere tagliate a tocchetti. Aggiungere anche sale, pepe e paprica. Servire con pane abbrustolito, meglio se pane nero.
© FCSF – Popoli, 1 ottobre 2011