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Sapori&Saperi
Anna Casella
Antropologa
Ulivo, dono degli dei al Mediterraneo
Talete, il sapiente cui si fa risalire l’origine della filosofia, era certamente uno spirito contemplativo, ma non al punto da non prestare attenzione a quanto accadeva intorno a lui. Viaggiatore, grande osservatore del cielo e altrettanto esperto del commercio, prevedendo un abbondante raccolto di olive, ne fece incetta, ricavando poi ingenti guadagni dalla vendita. Questo, almeno, è quanto tramanda Aristotele nella Politica. Platone, ben più metafisico, si concedeva tuttavia spuntini con fichi e olive. Quei cibi semplici dei quali Epicuro diceva ci si dovesse contentare per essere felici.
Olio e olive furono anche affare di divinità: poiché Poseidone e Atena si litigavano il controllo dell’Attica, Zeus impose loro di cercare qualcosa di utile agli uomini. Vinse Atena che portò l’ulivo, albero immortale dalle cui bacche l’umanità avrebbe potuto ricavare nutrimento, forza, luce, calore. E infatti l’olio divenne cibo, unguento per gli atleti, combustibile per le lampade. Gli dei nascevano sotto l’ulivo e si portavano in processione i rami durante le Pianepsie autunnali (festività in onore di Apollo). Sempre con i rami si intrecciavano le corone degli atleti. Con il legno d’ulivo erano fabbricati i letti, le bare e le statue degli spiriti della fecondità. Non diversamente, gli arabi ungevano di olio gli strumenti di lavoro perché ne fossero santificati, mentre gli ebrei fecero del ramo d’ulivo il simbolo dell’alleanza tra l’uomo e Dio dopo il diluvio (Gn 8, 11).
Al di là del mito, la pianta delle oliacee, originaria dell’Asia minore, il cui nome scientifico è Olea europaea, venne coltivata dal Neolitico nella pianura tra il Tigri e l’Eufrate. Conosciuta anche in Egitto, fu, tramite i fenici, diffusa nelle isole greche (il più antico frantoio è quello in pietra lavica ritrovato a Santorini). Da qui, lo sfruttamento dell’ulivo (nelle centinaia di varietà, tra le quali dobbiamo almeno ricordare la koroneiki greca, la leccino italiana, la ayvalik turca) si sparse in tutto il Mediterraneo raggiungendo la Spagna, il Portogallo e l’Italia, descrivendo quella singolare, impermeabile frontiera tra le popolazioni nordiche, dedite al burro e al lardo, e le popolazioni meridionali che si affidano piuttosto all’olio per la propria cucina. E dunque il tzatziki (cfr box), il cui nome sembra derivi dal turco-armeno cacik, può essere una delle ultime metamorfosi dell’ulivo.

La ricetta
TZATZIKI, LA SALSA PER PESCE E CARNE
Grattugiare un cetriolo e farne scolare l’acqua. Frullare tre spicchi di aglio fino a ottenere una crema. Mettere mezzo chilo di yogurt acido in una terrina, aggiungere la crema di aglio e il cetriolo. Versare tre quarti di tazzina di olio d’oliva extravergine e un po’ di aceto, mescolando vigorosamente con una frusta. Aggiungere sale, quanto basta, pepe e un pizzico di aneto. Guarnire con olive nere e foglie di menta. Questa salsa si può conservare in frigorifero per una settimana ed è adatta per accompagnare la maggior parte delle pietanze di carne o pesce. Può servire anche da antipasto sul pane accompagnando l’outzo, il liquore greco più conosciuto.
© FCSF – Popoli, marzo 2010