In questo mese di marzo dovremmo festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia. Come potete immaginare il centocinquantennale arriva solo una volta nella vita, se te lo lasci scappare ti tocca reincarnarti in un avatar e sperare di essere qui ancora quando si festeggerà il trecentennale.
Purtroppo le autorità del nostro Paese sono riuscite a litigare anche su questo anniversario, dividendosi sul fare festa o no, rimanere a casa dal lavoro e dalla scuola o no.
Del resto litigare è una modalità espressiva che da quando siamo uniti ci riesce particolarmente bene: è come se noi italiani nel momento in cui arriviamo a concretizzare un progetto realizzato con altre persone, provassimo l’impulso di litigare immediatamente.
Se per esempio decidiamo di creare un nuovo partito perchè quelli attuali ci fanno schifo, state pur sicuri che all’indomani della convention di presentazione, il cassiere avrà già litigato con il segretario perchè lo accuserà di essersi fatto intestare la sede del partito, i computer del partito e la segretaria del partito. La settimana successiva nasceranno due correnti, una favorevole all’uso obbligatorio dei moon boot in città dopo una nevicata e l’altra per il sostegno delle minoranze etniche quali gli elfi e le popolazioni del fondo Toce.
Ma anche all’interno delle correnti si creeranno le dovute e legittime differenziazioni: qualcuno preferirà i moon boot con il pelo, altri in goretex, qualcun altro invece preferirà stare in casa quando nevica e farà di tutto per vincere le primarie contro il candidato che propugna la nazionalizzazione di Cortina e di tutti gli impianti sciistici. E se per caso il suddetto partito dovesse passare indenne da queste prove e, dopo anni e anni all’opposizione, finalmente vincesse le elezioni, state pur certi che il governo durerà al massimo un mese e mezzo: il tempo necessario perché il Ministro alle Facezie e al Glamour presenti un disegno di legge sull’obbligatorietà della beneficenza spontanea, e subito qualche franco tiratore farà cadere il governo perchè invece preferirebbe concentrare lo sforzo legislativo sugli assegni familiari alle escort. Litigare per noi italiani non è una questione di razze o di appartenenze geografiche, noi litighiamo perchè tutti ci stanno sulle balle: il capo del governo, il capo dell’opposizione, l’amministratore di condominio, l’inquilino del 6°, 5°, 4°, 2° e 1° piano (il terzo piano è sfitto), il panettiere, l’idraulico e la professoressa di matematica di nostro figlio, l’omino della seggiovia di Alagna, il casellante della Milano-Venezia, il perito dell’assicurazione, il conduttore di Porta a Porta, il direttore del Tg3 e il pescivendolo in fondo alla via.
È per via della nostra litigiosità che l’inno nazionale è incomprensibile: il primo testo è stato scritto dalla Commissione parlamentare «Inni, filastrocche e feste rionali», poi ha subito una prima modifica perché l’opposizione avrebbe preferito sostituire alla parola iniziale «fratelli» il vocabolo «sodali». Dopo una snervante trattativa il capo della Commissione ha ottenuto il ripristino di «fratelli» in cambio di «Scipio», caldeggiato dall’opposizione, anziché «Pippo», come lui avrebbe voluto. Il testo poi ha subito diverse modifiche fino al testo oscuro e criptico che noi tentiamo di cantare da 150 anni. Noi italiani siamo fatti così, ci viene meglio litigare che andare d’accordo. Un po’ come i tedeschi: a loro vengono meglio i crauti che non i tailleurs. O i francesi, più bravi a fare le baguette piuttosto che i bidet. Per non parlare degli svizzeri, che eccellono nei referendum, ma sono scarsissimi nella impepata di cozze!
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