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A Kingston si chiude il decennio ecumenico contro la violenza
13 maggio 2011
Martedì 17 maggio prende il via a Kingston (Giamaica) la Convocazione ecumenica internazionale per la pace. L’incontro, che durerà fino a 25 maggio, è organizzato dal Consiglio mondiale delle Chiese, un organismo che raggruppa 349 Chiese e denominazioni cristiane e si è sempre occupato di pace e giustizia in chiave ecumenica. L’assise traccerà un bilancio del «Decennio per sconfiggere la violenza. Le Chiese alla ricerca di riconciliazione e pace»: una campagna, nata nel 2001, come impegno per promuovere una cultura di pace. Leggi la riflessione di Hans Ulrich Gerber, pastore mennonita e presidente dell’International Fellowship of Reconiciliation.

Si conclude quest’anno un’importante iniziativa ecumenica: il «Decennio per sconfiggere la violenza. Le Chiese alla ricerca di riconciliazione e pace». Iniziato nel 2001, il Decennio (indicato sinteticamente con la sigla Dov, Decade for Overcoming Violence) terminerà con la Convocazione ecumenica internazionale per la pace, dal 17 al 25 maggio a Kingston (Giamaica). Il motto di questo incontro sarà «Gloria a Dio e pace in terra».
Il Decennio è un’iniziativa del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc, World Council of Churches), un organismo che raggruppa 349 Chiese e denominazioni cristiane (la Chiesa cattolica partecipa come «osservatrice», ndt) e che si è sempre occupato di pace e giustizia in un’ottica ecumenica. Alla prima assemblea del Wcc ad Amsterdam, nel 1948, i delegati dichiararono nel loro messaggio finale: «La guerra come metodo per risolvere le dispute è incompatibile con l’insegnamento e l’esempio di nostro Signore Gesù Cristo. Il ruolo che gioca la guerra nell’attualità internazionale è un peccato contro Dio e una degradazione dell’uomo».
Dopo questa dichiarazione, per circa vent’anni il Wcc ha lavorato su questioni collegate al binomio guerra-violenza. Successivamente, su ispirazione di Martin Luther King, il Comitato centrale chiese al Wcc di studiare «i mezzi non violenti per un cambiamento sociale». Una crisi mondiale dopo l’altra, arrivò anche il tempo in cui il tema dei diritti umani e quello del razzismo occuparono il primo posto nell’agenda, mentre la questione della nonviolenza divenne in qualche modo secondaria. Quando finalmente in Sudafrica finì l’apartheid, arrivò la decisione di concentrarsi su come sconfiggere davvero la violenza.
Nel corso degli anni, infatti, era diventato chiaro che la fine di un conflitto armato o di un sistema ingiusto non significa la fine della violenza. Anzi, la violenza è diventata una grave preoccupazione in molti luoghi del mondo. Il Decennio di solidarietà delle Chiese con le donne (1991-2000) ha documentato che molte donne subiscono violenze in famiglia, e che questa orribile realtà ricorre in ogni parte del mondo, ricca o povera che sia. Il Wcc allora ha lanciato un programma per sconfiggere la violenza e la campagna «Pace alla città», due eventi che sono stati i precursori del Dov.
Intanto, l’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato il suo Rapporto mondiale su violenza e salute, e la prevenzione della violenza è stata dichiarata una priorità per la salute pubblica. Questo ha offerto un nuovo approccio alle Chiese: guardare alla violenza da una prospettiva di salute pubblica, e non più solo da un punto di vista morale, etico o legale.
In questo processo la violenza nelle sue varie forme - personale, interpersonale e collettiva - è stata via via meglio definita e il discorso sulla violenza si è fatto più articolato. Il Decennio ha reso evidente come i cristiani e le Chiese non possano limitarsi a lamentarsi della violenza, ma possano e debbano mobilitarsi per lavorare assieme allo scopo di sconfiggerla. La sfida era enorme e il Wcc troppo limitato nelle sue capacità per trasformare il Decennio in una campagna ben organizzata. Spettava alle Chiese a livello regionale e nazionale mettere in atto azioni e campagne per costruire una nuova consapevolezza, educare la gente e prendere iniziative per prevenire e sconfiggere la violenza.
I cinque obiettivi che hanno guidato il Dov mostrano l’ampio spettro di questioni relative alla violenza:
1) Affrontare con un approccio olistico la grande varietà delle violenze nelle case, nelle comunità e in ambito internazionale, imparando dall’analisi locale e regionale della violenza le vie per sconfiggerla.
2) Sfidare le Chiese a sconfiggere per prime lo spirito, la logica e la pratica di ogni violenza, ad abbandonare ogni sua giustificazione teologica e ad affermare la spiritualità della riconciliazione e della nonviolenza attiva.
3) Creare una nuova concezione della sicurezza in termini di cooperazione e comunità, invece che in termini di dominio e competizione.
4) Imparare dalla spiritualità e dalle risorse per costruire la pace trasmesse dalle altre fedi e lavorare con le comunità di altre religioni alla ricerca della pace, riflettendo sul problema delle identità religiose ed etniche nelle società pluraliste.
5) Combattere la crescente militarizzazione del pianeta, e in particolare il proliferare di armi leggere.
Certamente il Dov ha contribuito a una migliore comprensione della violenza. Ha inoltre aiutato a rendere più efficaci i molti sforzi già in corso nelle Chiese di tutto il mondo. La riflessione su «guerra giusta» e «pace giusta» è diventata una sfida imprescindibile per le Chiese. A questo riguardo, il dibattito circa la «responsabilità di proteggere» è stato un esercizio significativo.
Tuttavia le Chiese devono ancora percorrere una lunga strada per arrivare ad «abbandonare ogni giustificazione teologica della violenza». Solo da poco la nonviolenza è entrata nel vocabolario teologico. E le Chiese non hanno ancora raggiunto un consenso unanime sulla necessità e utilità - o al contrario sulla peccaminosità - della guerra, e su come meglio operare per la giustizia. In questo decennio sono stati fatti passi avanti, ma c’è bisogno di un cambiamento ancora più radicale, di un «mutamento di paradigma». Perché il passaggio da una teologia che giustifica la violenza a una teologia che la condanna è connesso all’immagine che abbiamo di Dio e di Gesù.
Paradossalmente, è proprio sull’ultimo obiettivo del Dov, «combattere la crescente militarizzazione del pianeta», che le Chiese sono rimaste troppo in silenzio dopo la fine della guerra fredda. La spesa militare e il commercio di armi, che raggiungono cifre astronomiche, restano fuori dal dibattito pubblico e dall’attenzione dei media. Quando e come le Chiese prenderanno posizioni chiare e unanimi su questi argomenti? Forse le azioni militari delle nazioni occidentali in Nord Africa spingeranno le Chiese a far sentire di più la propria voce e ad andare oltre generici appelli.
Il Convegno ecumenico di Kingston sarà l’occasione per celebrare quanto fatto durante il Dov e mettere in evidenza alcune buone pratiche. E sarà un’opportunità per progettare nuove modalità e nuove azioni comuni per affrontare le sfide che abbiamo ancora davanti. Questo verrà fatto sotto quattro grandi titoli: 1) Pace nella comunità: livello individuale, interpersonale e comunitario; 2) pace sulla terra: ambiente, ecologia, tecnologia; 3) pace nel mercato: giustizia, globalizzazione economica; 4) pace tra i popoli: pace giusta, militarismo, guerra, minaccia nucleare.
Ci si aspetta che il Convegno, segnando la fine del Decennio, rappresenti la pietra miliare di un nuovo capitolo ecumenico, che mandi chiari segnali di impegno e speranza, e stabilisca priorità per un’adeguata agenda ecumenica sulla pace giusta - e si auspica sulla nonviolenza - per gli anni a venire.
Hans Ulrich Gerber
© FCSF – Popoli