La situazione in Mali è iniziata a precipitare il 17 gennaio quando le forze del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (il nome con il quale si indicano le tre regioni del Nord) hanno attaccato caserme e presidi dell’esercito maliano. «L’obiettivo dell’Mnla è il diritto all’autodeterminazione per ottenere l’indipendenza», afferma senza mezzi termini Moussa ag Acharatoumane, leader del movimento, in un’intervista esclusiva in uscita sul numero di aprile di
Popoli. Dietro alla crisi però non c’è solo una richiesta di autonomia, ma si intrecciano una serie di interessi legati allo sfruttamento delle risorse naturali, al contenimento del fondamentalismo islamico e al dinamismo economico cinese.
Da sempre le regioni settentrionali sono instabili. Già prima dell’indipendenza dalla Francia, i tuareg avevano annunciato di non voler entrare nella nascente repubblica maliana. E, infatti, nel 1963, scoppia la prima rivolta seguita da altre nei quarant’anni successivi. I tuareg rivendicano più attenzione e più servizi di base per la loro terra. L’Azawad è infatti una delle regioni più povere di un Paese, il Mali, poverissimo. Nel Nord oggi abitano 600mila persone che hanno un’aspettativa di vita di 50 anni. Nell’area più densamente popolata (circa 80mila kmq) non ci sono ospedali e anche i dispensari sono pochissimi. Lo stesso vale per le scuole: quelle statali sono concentrate nelle città e i bambini tuareg studiano, quando possono, grazie a libri e insegnanti mandati dalle Ong. Bamako e il Nord non sono collegati da strade asfaltate e le principali città settentrionali sono unite tra loro da una rete viaria in terra battuta.
L’Azawad però è strategico sia al punto di vista economico sia da quello strategico-militare. La regione è una porta naturale tra l’Africa subsahariana e quella mediterranea e quindi una via di transito perfetta per commerci legali e non. A partire dall’attentato alle Torri gemelle del 2001, con la stretta sui controlli e la conseguente chiusura delle tradizionali rotte del traffico di stupefacenti che passavano dall’Atlantico settentrionale, i produttori sudamericani di cocaina hanno cercato rotte alternative per raggiungere il mercato europeo.
L’assenza delle istituzioni ha reso poi la regione una terra di nessuno nella quale, oltre al commercio di stupefacenti, si è registrata una graduale penetrazione dei fondamentalisti islamici. Qui negli ultimi anni ha creato le proprie basi Al Qaeda per il Maghreb islamico, la «succursale» saheliana del network integralista. I tuareg però smentiscono la presenza di estremisti islamici nelle loro fila.
Il controllo del Nord del Mali potrebbe essere vitale anche perché il sottosuolo sarebbe ricco di uranio e petrolio che fanno gola a molti attori internazionali. In primo luogo alla Francia e poi alla Cina. «La Francia - osserva Fabio Ricci, operatore del Cisv, Ong impegnata in progetti di sviluppo nel Mali - non vuole favorire in alcun modo la penetrazione cinese. È per questo motivo che in questi mesi ha avuto una posizione ambigua in Mali, cercando di non inimicarsi né Bamako né i tuareg. In futuro, l’appoggio dei tuareg potrebbe rivelarsi essenziale in funzione anti-Pechino ed è per questo che Parigi non vuole “bruciare” una possibile alleanza con loro».
Intanto, sul campo, l’offensiva dei ribelli ha sorpreso e annichilito le forze armate maliane. Il nucleo principale dell’Mnla è costituito da tuareg che hanno servito nell’esercito libico di Gheddafi (che li ha sempre protetti). Alla caduta del regime di Tripoli, sono rientrati in patria portando con sé una parte dell’arsenale libico. Grazie alle armi più potenti, a equipaggiamenti migliori e a un addestramento più efficace sono riusciti ad avere ragione dei militari di Bamako occupando le principali città del Nord. Il golpe dei militari maliani, che criticavano il governo per la cattiva organizzazione del conflitto, sarà il preludio di una nuova offensiva nell’Azawad?
Enrico Casale