Il 25 aprile Muhammad Yunus, fondatore della Grameen Bank e capofila nel movimento per il microcredito in Asia meridionale, è stato ufficialmente scagionato dal governo bangladese dalle accuse di irregolarità finanziarie. Queste provenivano da un documentario della Tv norvegese e, in marzo, erano state il pretesto per allontanare Yunus dai vertici della sua banca. Anche un’indagine norvegese lo ha sollevato da ogni accusa.Anticipiamo parte dell’inchiesta di Popoli
in uscita sul numero di maggio dedicata al «banchiere dei poveri» e al microcredito, che resta una delle innovazioni sociali più rilevanti degli ultimi decenni.Mirpur Road, che connette la zona settentrionale di Mirpur e l’agglomerato dell’Università di Dhaka, è una delle strade più trafficate della capitale bangladese e raccoglie complessi commerciali, uffici, ospedali, nonché il quartier generale di Grameen Bank. La scelta logistica non appare casuale, ma è conforme alla vocazione stessa del progetto che Muhammad Yunus ha elaborato 35 anni fa: una banca nel e per il villaggio (grameen in bengalese significa «rurale»). Una banca accessibile a tutti, perché l’accesso al credito dovrebbe essere un diritto da riconoscere a chiunque e uno strumento per lo sviluppo individuale e sociale della persona.
Il successo della banca e, più in generale, del sistema di microcredito nelle sue differenti declinazioni geografiche, è per buona parte legato alla storia personale, al carisma e all’infaticabile lavoro del suo promotore storico. Ma in tempi recenti Yunus, Premio Nobel per la Pace nel 2006, è stato protagonista di aspre polemiche e il 2 marzo 2011 la Banca centrale del Bangladesh ha annunciato la sua sospensione dalla carica di amministratore della Grameen Bank.
La vicenda ha avuto origine nel novembre 2010, immediatamente dopo la messa in onda di un documentario della televisione di Stato norvegese, tradizionalmente attenta alle vicende dei Nobel. Il programma, dal titolo «Intrappolato nel microdebito», sosteneva che quindici anni fa ingenti fondi erano inspiegabilmente «scomparsi» dalla Grameen Bank. Nonostante una commissione d’indagine promossa dal governo norvegese non abbia trovato alcun riscontro circa le accuse avanzate nel documentario, questa notizia ampiamente diffusa dalla stampa finanziaria internazionale, ha fornito a Sheikh Hasina, la primo ministro del Bangladesh, un pretesto ideale per sbarazzarsi della figura ingombrante di Yunus.
L’ostilità di Hasina nei confronti del «banchiere dei poveri» non è storia recente. Le ragioni del conflitto coincidono con l’emergere di Yunus sul palcoscenico internazionale: cinque mesi dopo l’assegnazione del Nobel, l’economista annunciò la sua intenzione di costituire un nuovo partito a vocazione democratica e riformista che potesse proporsi come alternativa alla Awami League, il partito che la Hasina guida da trent’anni e che l’ha riportata al governo nel 2008.
Anche se l’impegno politico di Yunus non prevedeva una sfida aperta al primo ministro, ma intendeva sollecitare una riflessione più ampia sulla corruzione che pervade la politica bangladese, Hasina ha considerato il suo intervento un affronto personale.
Sfruttando i sospetti sorti in seguito alla trasmissione del documentario norvegese, la Banca centrale del Bangladesh, su sollecitazione del governo, ha accusato Yunus di aver illegalmente rivestito la carica di amministratore a partire dal 1999, con un mandato confermato dal Consiglio della banca, ma senza ratifica della Banca centrale.
«Se la Banca centrale del Bangladesh ha permesso a Yunus di continuare a operare come direttore generale in tutti questi anni, perché non dovrebbe essere scontato che essa abbia approvato la sua nomina?», si interroga oggi uno dei più autorevoli giudici del Paese. Forse, l’aspetto più sorprendente della vicenda risiede nel fatto che l’establishment governativo del Bangladesh è disposto a rischiare parte della propria (già precaria) reputazione internazionale pur di rimuovere l’ombra che gli procurano Yunus e la sua banca.
L’IDEA ORIGINARIAMa che cosa ha reso così importante (e ingombrante) l’avventura di Yunus? L’idea di fondo della Banca Grameen è la consapevolezza che la causa della povertà non è la mancanza di capacità di sviluppo, ma di opportunità. La scommessa di Grameen Bank è stata pensare una strategia per sopperire alla mancanza di opportunità di sviluppo che colpisce la popolazione rurale del Bangladesh (quasi tre quarti dei 165 milioni di abitanti).
Nel 1976 il gruppo Grameen lanciò un primo progetto dedicato alla creazione di un sistema di credito bancario a sostegno della popolazione rurale e tra gli obiettivi vi erano quelle proposte che oggi sono tra i pilastri del sistema di microcredito diffusosi in tutto il mondo. Principalmente offrire credito a tutti coloro che ne avessero bisogno o avessero un’idea commerciale in mente, ma che fossero privi di garanzie bancarie per potere beneficiare di un prestito finalizzato a sviluppare l’idea. In particolare si decise di privilegiare le donne per favorire l’integrazione e l’emancipazione femminile sia all’interno del circuito familiare sia in ambito pubblico. Il progetto pilota venne messo in atto nel villaggio di Jobra, ebbe successo e fu quindi esteso ai villaggi e distretti rurali limitrofi. Nel 1983 la Grameen divenne una banca a tutti gli effetti.
Negli anni il progetto di base ha subito un’evoluzione, diventando fattore di promozione di una nuova visione di fare impresa e di inserirsi nell’economia di mercato: il «social business». Il termine indica le imprese che producono beni e servizi sul mercato con l’obiettivo di combattere la povertà offrendo prodotti pensati per coloro che diversamente non potrebbero accedervi o acquistarli. Si tratta di un’apertura importante al mondo del for profit in ambiti di promozione allo sviluppo tradizionalmente ritenuti di competenza esclusiva delle Ong e del non profit.
In Bangladesh sono un esempio le molteplici joint venture fra la stessa Grameen Bank e realtà di dimensione internazionale: Grameen-Danone, che si occupa di produzione di alimenti per l’infanzia studiati per le famiglie a basso reddito, o Grameen-Veolia Water, il cui obiettivo principale è quello di organizzare le risorse idriche nei villaggi. L’operazione appare molto ambiziosa, ma la prudenza è d’obbligo: sul lungo periodo il modello potrebbe dimostrarsi non immune da possibili strumentalizzazioni a carattere meramente commerciale (greenwashing) da parte delle multinazionali che stabiliscono una partnership con il gruppo di Yunus.
L’evoluzione della Grameen Bank rivela tre elementi importanti. Il primo è che si può uscire dalla miseria quando si realizzano innovazioni capaci di vedere opportunità di crescita dove gli altri vedevano solo problemi (per esempio, donne in condizioni di povertà). Il secondo: dall’esclusione si può uscire anche con il mercato e il lavoro, con contratti che non sono donazioni di natura filantropica o trasferimenti assistenzialistici a fondo perduto e quindi non responsabilizzante. In questo modo si richiama il mercato alla sua vocazione originaria, tesa a creare sviluppo includendo gli esclusi, rendendo «bancabile» chi non lo era. Infine, l’esperienza del microcredito ci ricorda che le grandi rivoluzioni - e tale è questa, che ha liberato milioni di persone dalla miseria - partono spesso dalla piccola scala, dalle persone che come Yunus piantano semi, che vedono qualcosa di diverso e iniziano a cambiare la vita attorno a sé: sono le persone, prima delle istituzioni e dei capitali, che con le loro azioni cambiano la storia.
Francesca Lipari
Università di Manchester
Tommaso Reggiani
Università di Bologna e IZA-Bonn