Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Primo piano
Cerca in Primo Piano
 
Da Lepanto ad Ahmadinejad
2 gennaio 2012
Il nostro primo approccio con il mondo tradizionalista avviene all’Università Cattolica di Milano, durante una messa in latino celebrata un giovedì sera in una cappella dell’ateneo. I fedeli che partecipano alla funzione, circa una cinquantina, non sembrano così diversi da quelli che si possono vedere in una qualunque chiesa ogni domenica: non ci sono solo studenti, ma persone di tutte le età, dalle anziane signore sedute in prima fila ai bambini sbuffanti trascinati lì dai genitori.
La funzione invece riserva alcune curiosità, soprattutto per chi non ha familiarità con il rito pre-conciliare: l’abolizione di ogni musica tranne quella dell’organo, il silenzio durante la consacrazione, l’uso esclusivo del latino nella liturgia. Ma soprattutto è significativa l’omelia, in cui il sacerdote ricorda la vittoria dell’Europa cristiana sull’islam nella battaglia di Lepanto del 1571 e fa un’esegesi dell’Ave Maria, levandosi il berretto e alzando gli occhi al cielo tutte le volte che nomina Dio o la Madonna.
Appena uscito da messa incontriamo due delle nostre guide nel mondo del tradizionalismo: Piergiorgio e Andrea, studenti della Cattolica che all’interno dell’università coordinano il gruppo dei ragazzi seguaci del rito tridentino, che in un’aula condivisa con altri gruppi studenteschi (tutti nell’ambito della destra) organizzano anche incontri culturali e proiezione di film: l’ultimo è stato Forces occultes, film francese sulla massoneria prodotto dal governo di Vichy. Ci accolgono nella piccola stanza dell’università adibita a sede della loro associazione, in cui fa bella mostra di sé una bandiera del Vaticano e un poster che ritrae gli zuavi dell’esercito pontificio, sormontati dalla scritta «Onore ai soldati del Papa re».

TRE GRUPPI
I due ci spiegano una distinzione fondamentale che è necessario fare all’interno del mondo dei tradizionalisti o dei «cattolici integrali», come preferiscono essere chiamati. I sostenitori della messa in latino si dividono in tre gruppi principali.
Il primo è quello dei cosiddetti «motupropristi»: non hanno mai preso apertamente le distanze dal Vaticano, ma hanno scelto di seguire le liturgie secondo il rito tradizionale, autorizzate nel 2007 dal motu proprio di papa Benedetto XVI. Di questo movimento fanno parte numerose correnti e associazioni, tra cui la più importante è la Fraternità di S. Pietro.
In realtà anche i motupropristi hanno avuto qualche attrito con le gerarchie ecclesiastiche. È piuttosto noto il caso dei tre preti della diocesi di Novara che alcuni anni fa si rifiutarono di celebrare messe in italiano, costringendo nel 2008 l’allora vescovo Renato Corti a trasferirli. Uno di questi sacerdoti, don Alberto Secci, in un’intervista rilasciata qualche mese fa ricordava: «Trovo assurdo l’obbligo al biritualismo. Se si è trovato il vero, il meglio, ciò che esprime più compiutamente la fede cattolica, senza ambiguità pericolose, perchè mai bisognerebbe continuare a celebrare qualcosa di meno. (...) L’ambiguità del rito porta all’eresia di fatto. Non è quello che ci è successo?»
Il secondo gruppo, il più noto e più numeroso (stando alle stime diffuse nell’ottobre 2011 è diffuso in 31 Paesi e annovera 551 sacerdoti, con una partecipazione alle funzioni di circa 200mila seguaci abituali e più di due milioni di partecipanti occasionali), è quello dei seguaci della Fraternità Sacerdotale San Pio X (Fsspx), comunemente detti «lefebvriani» dal nome del fondatore, il vescovo Marcel Lefebvre. Nel 2004 fece scalpore la remissione della scomunica comminata nel 1988 da Giovanni Paolo II a quattro vescovi della Fraternità. Da allora il dialogo con il Vaticano prosegue, ma i rapporti con la Santa Sede sono ancora molto tesi: di recente il superiore della Fraternità, Bernard Fellay, ha rifiutato il preambolo dottrinale propostogli dalla Chiesa di Roma, lasciando però la porta aperta alle trattative. Questi contatti con il Vaticano hanno provocato anche una faida interna alla Fraternità, tra chi è favorevole al dialogo e chi rifiuta di discutere con il papa.
Il terzo gruppo, il meno numeroso, è quello dei «sedevacantisti» o «sedeprivazionisti». Questi considerano la sede papale vacante dal 1958 (anno dell’elezione a pontefice di Giovanni XXIII), in quanto dal loro punto di vista i papi succeduti a Pio XII sono venuti meno al loro compito, abdicando de facto dalla carica; quindi rifiutano qualsiasi colloquio con la Santa Sede.

IL 1789 DELLA CHIESA
Due ragazzi motupropristi incontrati fuori dalla cappella di San Rocco al Gentilino, a Milano, al termine di una funzione svolta secondo il rito ambrosiano antico, ci spiegano perché hanno scelto di seguire la messa in latino: «Per noi la lingua di tutti i giorni è inadatta a esprimere il mistero di Dio. Il latino ecclesiastico è una lingua più solenne, più “alta”, che ci sembra abbia una funzione escatologica superiore. Inoltre il rito moderno privilegia troppo la liturgia della Parola, a discapito del momento della consacrazione, che nel rito tradizionale avviene in silenzio».
Il loro rapporto con il resto della comunità cattolica è sostanzialmente pacifico: «Essendo giovani non abbiamo vissuto le difficoltà che hanno incontrato i membri più anziani della nostra comunità per far accettare il rito tradizionale. Ogni tanto partecipiamo anche a messe “moderne”, sebbene ci infastidisca un po’ che la celebrazione sia accompagnata da canti e danze, cose più adatte a una festa profana che al culto divino».
Piergiorgio (sedevacantista) e Andrea (seguace della Fsspx) invece fanno parte di due gruppi che si trovano in contrasto con Roma. I motivi dell’allontanamento dalla linea dettata dalla Santa Sede vanno ricercati, com’è noto, nel Concilio Vaticano II, che il cardinale di Bruxelles, monsignor Léon-Joseph Suenens definì «il 1789 della Chiesa». Come spiegano i due giovani della Cattolica, «tale definizione, che nelle intenzioni del progressista Suenens aveva valenza positiva, è condivisa dalla quasi totalità dei lefebvriani e dei sedevacantisti. Ci sentiamo come i vandeani, come gli ultimi difensori della vera fede. La scelta della Chiesa, sancita dal Concilio Vaticano II, di andare incontro al mondo, non solo modificando il rito liturgico ma anche tramite il dialogo, la consideriamo un’offesa a Dio. Siccome la Chiesa è espressione terrena di Dio, che è perfetto, allora non può che essere perfetta anch’essa e, quindi, non modificabile».
Partendo da posizioni così radicali, è naturale che l’incontro tra le religioni svoltosi ad Assisi lo scorso 27 ottobre, a 25 anni di distanza dal primo, abbia destato scandalo. Il giorno prima a Verona è stata organizzata dai sedevacantisti una messa di riparazione, per chiedere perdono a Dio dell’offesa che veniva fatta alla sua regalità equiparando il cristianesimo alle altre religioni.
Il rifiuto del dialogo con altre religioni è stato anche tra le cause, nel decennio scorso, dell’avvicinamento tra lefebvriani ed esponenti della Lega nord, come Mario Borghezio e Flavio Tosi, accomunati da un’accesa opposizione al mondo islamico. Come spiega Paolo Bertezzolo, autore del libro Padroni a chiesa nostra (Emi, 2011), «i leghisti piemontesi e veneti hanno partecipato insieme ai lefebvriani a messe in latino per commemorare Pio V e la battaglia di Lepanto, a manifestazioni contro la comunità islamica in occasione dei festeggiamenti per la fine del Ramadan e a trasmissioni su Radio Padania. A partire dal 2009, però, l’intesa si è incrinata: secondo quanto hanno dichiarato i leghisti Roberto Cota e lo stesso Tosi a causa delle posizioni antisemite di don Floriano Abrahamowicz». Quest’ultimo è un prete veneto già lefebvriano, in seguito espulso dalla Fraternità, fautore del revisionismo sulla Shoah e principale tramite tra Lega e Fsspx.
«Dal nostro punto di vista, invece - spiega Piergiorgio -, la rottura è stata motivata dal fatto che i leghisti vedevano il cristianesimo tradizionalista solo come un instrumentum regni, un modo per conquistare qualche voto in più presentandosi come paladini della fede. Inoltre molti aderenti a questi due gruppi, anche se ritengono l’espansione dell’islam una minaccia, rifiutano l’idea di una guerra culturale e religiosa tra Europa cristiana e mondo arabo musulmano, ritenendola funzionale solo al vero nemico: Israele».

L’AMICO IRANIANO
Su questo punto è significativa la testimonianza di Andrea, lo studente incontrato in Cattolica, che è anche autore di due libri sul sionismo: «La settimana scorsa ero in Iran, ospite del presidente Mahmoud Ahmadinejad per un convegno. Personalmente i miei rapporti con il governo iraniano e quello siriano di Bashar al Assad sono ottimi, abbiamo fedi religiose diverse ma molte idee in comune».
Quella dell’antisemitismo e delle connessioni politiche con l’estrema destra è probabilmente la questione più scottante quando si parla di tradizionalisti cattolici. Da diversi siti legati a questo mondo (vedi p. 45) emerge che coloro che vedono come «grande nemico» lo Stato d’Israele nella maggior parte dei casi condividono le tesi di Richard Williamson (uno dei quattro vescovi lefebvriani riammessi nella Chiesa cattolica da Benedetto XVI, passato però nel frattempo tra i sedevacantisti), sostenitore del revisionismo e della tesi del deicidio.
Riguardo ai rapporti con l’estrema destra, l’equazione non è immediata. La Fsspx, a parte la parentesi filo-leghista, non si è mai occupata direttamente di politica, anche se è innegabile che molti neofascisti (ad esempio esponenti di Forza nuova) vedano nella partecipazione a messe in latino il modo migliore per esprimere la propria religiosità.
La franchezza con cui i tradizionalisti parlano anche dei temi più scottanti potrebbe meravigliare, ma, per rispondere con parole loro, «non vogliamo fare come Nicodemo, e mostrare la nostra fede solo di nascosto».
Michele Ambrosini

© FCSF – Popoli