Vera Mshana è una ricercatrice di
Tax Justice Africa,
una Ong che promuove un sistema di tassazione equo e progressivo nel
continente africano. Le abbiamo chiesto di fare il punto sulla presenza
dei paradisi fiscali in Africa e su quali iniziative stia organizzando
la società civile per chiedere maggiore trasparenza fiscale.
Quanti paradisi fiscali ci sono in Africa?
Il Fondo monetario internazionale ha riconosciuto come centri finanziari
offshore: Mauritius, Seychelles, Liberia, Gibuti e Tangeri (Marocco).
Le Comore (l’isola di Anjouan), Botswana e Somalia possono essere
anch’essi considerati paradisi fiscali. Il Ghana stava per adottare un
regime fiscale privilegiato, ma poi ha rinunciato.
Quali sono i vantaggi fiscali garantiti agli investitori?
Questi centri offrono molti servizi: bancari e assicurativi, gestioni
patrimoniali, fondi fiduciari, pianificazione fiscale e consulenza alle
società multinazionali.
Ciò che rende conveniente investire in questi centri è che questi
servizi sono forniti in un sistema di ampie esenzioni fiscali (nessuna
imposta sul capital gain, nessun tributo sui dividendi o sugli
interessi, né sugli utili) e una normativa poco severa in materia di
contabilità.
Va detto inoltre che questi paradisi fiscali offrono l’anonimato
finanziario ai clienti, nascondendo di fatto i reali protagonisti
(azionisti o proprietari) delle attività commerciali.
Ciò permette a questi clienti di nascondere i loro redditi e ridurre il
carico fiscale nel Paese nel quale vivono o nei Paesi dove il reddito è
prodotto.
Chi investe nei paradisi fiscali?
Investono gli istituti bancari europei e nordamericani, ma anche persone
molto ricche e, in generale, le multinazionali, come per esempio la
SabMiller (il secondo produttore mondiale di birra) o la banca Barclays,
che era fortemente coinvolta nella creazione del centro finanziario in
Ghana.
Quali effetti producono le legislazioni fiscali agevolate sulle economie dei paradisi fiscali?
I paradisi fiscali producono effetti negativi, in particolare: 1) I
sistemi fiscali locali tendono a fare leva unicamente o prevalentemente
sull’imposizione indiretta, che colpisce maggiormente la fasce più
deboli della popolazione. 2) Viene creata poca occupazione, considerato
che molti posti di lavoro riguardano l’industria dei servizi finanziari e
che questi posti sono occupati quasi tutti da stranieri. 3) Si creano
grandi divari di reddito nella popolazione. 4) L’economia locale è poco o
per nulla differenziata.
La società civile come sta combattendo il fenomeno dei paradisi fiscali?
I paradisi fiscali vanno combattuti sotto due aspetti: per l’impatto che
essi hanno sulle economie delle altre nazioni (considerato che possono
essere utilizzati per il riciclaggio di denaro sporco e per l’evasione
fiscale) e per l’impatto che hanno sulle economie locali. L’attenzione
mondiale e le campagne internazionali hanno prodotto effetti positivi
sotto il primo aspetto, meno sotto il secondo, che credo sia il più
problematico.
Come Tax Justice Network notiamo che in Africa il dibattito sulla
politica fiscale e sulla riforma fiscale è stato in gran parte rimosso.
La tassazione è vista come una misura imposta dall’esterno, prima dai
colonizzatori, poi dai Programmi di aggiustamento strutturale. Solo
recentemente si è registrata una maggiore attenzione su questi temi,
favorita dalla volontà di controllare la spesa pubblica. Anche se la
tassazione è considerata sempre una questione tecnica, estranea al
dibattito pubblico.
La nostra organizzazione è molto coinvolta sul tema dei paradisi fiscali
e partecipiamo alla campagna mondiale che chiede la loro fine e
profonde riforme della politica fiscale. In particolare, noi chiediamo
una riforma della contabilità. Auspichiamo che venga adottato il sistema
chiamato «Paese per Paese», che impone alle multinazionali di stilare,
oltre ai bilanci consolidati, anche rendiconti delle attività economiche
svolte nelle singole nazioni e di esplicitare i nomi delle società ad
esse collegate in quelle stesse nazioni. La seconda riforma che
chiediamo è la creazione di una piattaforma, gestita dalle Nazioni
Unite, che permetta lo scambio automatico di informazioni fiscali e
finanziarie. Questa piattaforma dovrebbe permettere alle Agenzie delle
entrate di ogni Paese di ottenere le informazioni necessarie a
smascherare possibili elusioni (o evasioni) dei contribuenti.
La nostra organizzazione sta poi facendo pressioni sul governo
sudafricano affinché metta all’ordine del giorno dell’incontro del G20,
che si terrà il 3 novembre a Cannes (Francia), il tema dell’elusione e
dell’evasione fiscale.
Enrico Casale