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"Emergenza Nord Africa", stop all'assistenza
28 febbraio 2013
Per Polycarp l’unica soluzione sarà andare a dormire in strada o in una fabbrica dismessa o, ancora nei depositi dei mezzi pubblici. Alternative non ne ha. Dal 1° marzo lo Stato italiano non garantisce più l’accoglienza né a lui e né agli altri immigrati arrivati sulle nostre coste nel 2011 per fuggire alle Primavere arabe. Fino alla fine dell’anno, cioè finché scade il suo permesso di soggiorno per motivi umanitari, potrà rimanere nel nostro Paese, poi o diventerà clandestino o lascerà l’Italia. E così, dopo le percosse dei poliziotti libici, un delicato intervento alle vertebre, l’attraversata avventurosa del Canale di Sicilia, si ritroverà solo, con la salute malferma a immaginarsi un futuro pieno di incognite. «Polycarp - spiega Rosa Maria Vitale, medico, da anni impegnata a Milano nell’assistenza degli immigrati - vive da due anni con una struttura metallica che i medici gli hanno inserito per riallineargli le vertebre. Ha sofferto molto e continua a soffrire, ma da domani sarà in mezzo alla strada. Per lui e per gli altri giunti sulle nostre coste due anni fa i soldi sono finiti».

L’«emergenza Nord Africa» scatta nel 2011. L’accendersi delle rivolte in Tunisia, Egitto e Libia costringe molte persone dell’Africa subsahariana che lavoravano in quei Paesi e molti cittadini degli stessi Paesi a fuggire verso l’Italia. Qui viene varato in fretta e furia un piano per accoglierli. A occuparsene è la Protezione civile, che suddivide i 23mila immigrati in piccoli gruppi che poi invia nelle regioni (fatta eccezione per l’Abruzzo che stava ancora vivendo l’emergenza del terremoto). Nelle regioni vengono accolti in alberghi, agriturismi, dormitori, centri di accoglienza, ecc. «Tra quei rifugiati - ricorda Giovanni La Manna, gesuita, presidente del Centro Astalli di Roma, la sezione del Jrs in Italia - c’erano persone arrivate da sole, mamme con i bambini, famiglie, ragazzi. Sono stati alloggiati come si poteva e senza un vero percorso che, dall’accoglienza, portasse queste persone all’autonomia e all’integrazione. C’è stato solo un procedere passo-passo, cercando di evitare problemi di ordine pubblico. D’altra parte il governo tecnico di Mario Monti se n’è disinteressato completamente e, in questa fase di transizione, nessun funzionario o politico si prende la responsabilità di decidere che cosa fare di questi immigrati».

Per ogni immigrato lo Stato italiano ha pagato 46 euro al giorno (che dovevano coprire i costi di vitto e alloggio) e ha garantito un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. «Ora - continua padre La Manna - i soldi sono terminati e quindi l’Italia non garantisce più neppure l’accoglienza. Dal 1° marzo, infatti, verranno sgomberate le strutture che li avevano ospitati. Con il paradosso che, pur essendo esauriti i fondi, a ognuno di loro sono stati dati 500 euro per coprire le spese dei primi giorni. Un escamotage per facilitare gli sgomberi ed evitare incidenti di ordine pubblico».

C'è da dire che dei 23mila arrivati, ottomila hanno già lasciato spontaneamente le strutture che li accoglievano. «Molti immigrati - spiega Rosa Maria Vitale - hanno una buona cultura di base. E, una volta arrivati qui, hanno sfruttato i corsi loro offerti dallo Stato italiano per imparare la lingua. Sono questi che se ne sono andati dai centri. In tanti hanno trovato un lavoro, magari umile, che gli ha permesso di vivere. Chi è rimasto nelle strutture? I più fragili: quelli che avevano problemi di salute, che non avevano una professione o che non sono riusciti a imparare la lingua». «Dei 250 immigrati che avevamo accolto all’inizio della crisi - spiega Luciano Gualzetti, vice-direttore di Caritas Ambrosiana - ne sono rimasti nei nostri centri circa 140. Sono persone che stanno finendo progetti ad hoc, oppure i più vulnerabili. A differenza delle strutture alberghiere, la Caritas non ha fini commerciali e scadenze, quindi anche se lo Stato non li assisterà più, noi ce ne faremo carico. Abbiamo già stanziato fondi presi dall’8 per mille. Almeno fino a giugno, ma in alcuni casi fino a dicembre, ce ne prenderemo cura. Va detto che questa situazione di precarietà è frutto della politica di un governo, quello Berlusconi, che ha gestito l’emergenza immigrati in modo improvvisato ed estemporaneo sull’onda di una guerra in cui si è trovato coinvolto e di pressioni internazionali che chiedevano all’Italia di farsi carico dei profughi».

Molti immigrati si troveranno però senza alcuna assistenza. «Andranno a vivere nelle realtà abusive come Salaam Palace - chiosa padre La Manna - . Realtà affollate nelle quali la vita è precaria. Nessuno si occuperà più di loro. Molti immigrati se ne vanno dall’Italia perché non sono in grado di sopportare situazioni indegne di un essere umano. E infatti sono aumentati i casi di rimpatrio imposto da Dublino 2, il regolamento europeo che obbliga gli immigrati che hanno ottenuto il diritto di asilo a rientrare nel nostro Paese se sono espatriati».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli
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