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I mondi nella borsetta
16 ottobre 2012
Gli oggetti che una donna porta con sé sono specchio della sua quotidianità e del suo privato. Ma anche un piccolo racconto universale. Pubblichiamo alcune delle immagini uscite nel numero di ottobre di Popoli, tratte da una ricerca fotografica di Roberto Brancolini e accompagnate da un testo della scrittrice italo-indiana Laila Wadia.

Se penso a una borsetta, la prima cosa che mi viene in mente è la mitica borsa di Mary Poppins, la simpatica tata inglese che custodiva un mondo di cose strane, simpatiche e utili nel suo magico borsone: un attaccapanni, uno specchio, una pianta, un lampadario, un paio di scarpe e una giacca e, infine, un metro per misurare il carattere delle persone.

Una borsetta è una doppia narrazione del carattere di una donna: racconta segreti mondi interiori, ma comunica anche l’immagine pubblica che la sua proprietaria vuole diffondere. C’è chi desidera annunciare al mondo una storia di successi, chi non disdegna il plagio, ci sono donne che palesano la loro voglia di un mondo ecologico, oppure tradizionale, eccentrico, minimalista… Tuttavia, nonostante stili e stoffe varie, nella nostra era globale, la sostanza delle borsette è abbastanza comune a tutte. Da Palo Alto a Pechino, non possono mancare chiavi, portafoglio, telefonino, caramelle. Magari nei Paesi più tradizionalisti è ancora d’uso portarsi appresso fotografie cartacee dei propri cari e forse qualche santino, mentre nel mondo industrializzato non si può fare a meno di girare con i documenti. Ecco, i documenti… una nota dolente all’inizio del mio soggiorno italiano! Apprendere che è d’obbligo girare con un documento d’identità fu un notevole choc culturale. Nella mia natia India, non serve certificare la propria identità con la stessa frequenza, tant’è che molte persone sono del tutto sprovviste di documenti personali. Quando è necessario identificarsi, forniscono le proprie generalità a voce e nessuno le mette in dubbio.

Confesso che da un po’ di tempo fatico a tollerare la borsetta. Riempita del conformismo a cui il mondo moderno ci costringe - tracciabilità, salute e bellezza - mi sta diventando pesante da portare. Sogno di disfarmi della mia banca dati-farmacia-profumeria ambulante e diventare libera come le indiane povere che tanto fascino suscitavano in me da bambina, anche perché prive di borsette. Donne di campagna o di estrazione umile, usavano il loro abbigliamento tradizionale per trasportare le poche cose di cui necessitavano. I soldi venivano custoditi nel reggiseno per evitare di venire derubate sui treni e negli autobus affollati, il portachiavi tintinnante era infilato nella cintura del sari e sfoggiato come un gioiello, il fazzoletto si nascondeva nella manica della blusetta, il lembo del sari veniva annodato per custodire piccoli acquisti come qualche noce di betel per rinfrescarsi l’alito.

Ciò nonostante, il bello di una borsetta sono le sorprese che riserva. Il primato delle cose strane che vi si trovano appartiene senz’altro all’opera teatrale di Oscar Wilde, L’importanza di chiamarsi Ernesto, in cui l’omonimo protagonista racconta alla sbigottita Lady Bracknell di essere stato trovato da bambino in una borsetta alla stazione ferroviaria di Victoria a Londra da un gentile signore di nome Thomas Cardew, aggiungendo che si trattava di una borsa di pelle nera con tanto di maniglie e di fattura abbastanza comune.

Sull’onda della fantasia di Wilde ho chiesto ad alcune scrittrici che cosa portano nelle loro borsette. Una collega brasiliana mi ha detto che porta sempre con sé una conchiglia per sentire il suono del suo amato mare di casa, fonte di grande conforto nei momenti di smarrimento. Una scrittrice albanese ha raccontato di portare un sassolino del suo Paese perché un detto nella sua lingua vuole che ogni sasso ha il suo posto e peso specifico preciso. Le mie colleghe italiane non si sono dimostrate meno nostalgiche, scaramantiche o romantiche nelle loro risposte. Così sono giunta alla conclusione che la borsetta di una donna di qualsiasi origine è un’alchimia tra dovere e piacere, un amalgama tra sogni e realtà, una coniugazione tra le varie alleanze e universi dell’essere femminile.

Personalmente, nella borsetta confesso di custodire alcuni semi di cardamomo. Sono lì per ricordarmi dell’essenza della mia terra natale e per aiutare a profumare il presente con l’esperienza del passato. E che cosa porto del mio presente italiano? Post-it per gli appunti, penne «rubate» ovunque, qualcosa da leggere, e quando vado all’estero, per la gioia di tantissimi bambini in giro per il mondo, ho imparato a portare con me le figurine dei calciatori azzurri. Così mi trasformo per un attimo in una moderna Mary Poppins, la quale sapeva bene che la cosa più bella da estrarre da una borsetta non sono gli oggetti, ma un sorriso di chi ti osserva meravigliato.    
Laila Wadia
Scrittrice di origine
indiana, vive a Trieste

© FCSF – Popoli
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