Giunto alla sua ventesima edizione, il Dossier statistico sull’immigrazione del 2010 lancia un appello che ben sintetizza il percorso di lettura del fenomeno migratorio compiuto da
Caritas e
Fondazione Migrantes in questi vent’anni:
«Costruire una cultura dell’altro». Questo è l’invito del rapporto presentato il 26 ottobre in varie città italiane. A Milano l’evento si è svolto presso l’
Auditorium San Fedele, dove i dati sono stati commentati da monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, dal professor Emilio Reyneri, docente di Sociologia del lavoro all’Università Bicocca di Milano e da Luciano Gualzetti, vice direttore della Caritas ambrosiana. Dai tre relatori è arrivato in forme diverse la stessa osservazione di fondo: l’immigrazione, o meglio la presenza sul nostro territorio di gruppi etnico-culturali minoritari, può essere ormai considerata un fatto strutturale della società italiana, e deve essere vista come una risorsa e un appello all’accoglienza anziché un problema da risolvere o un’eterna emergenza.
Alcuni dati descrivono in modo eloquente questa realtà: gli stranieri presenti in Italia sono 4 milioni e 235mila, e salgono a 4 milioni e 919mila se si considerano anche gli irregolari. Più significativi sono però i numeri che indicano il contributo attivo degli immigrati non solo all’economia, ma anche allo sviluppo demografico e sociale dell’Italia. Il saldo tra costi ed entrate legati all’immigrazione è di un miliardo di euro di utili per l’economia italiana. Sul fronte della natalità e dei matrimoni, invece, è significativo notare, oltre al dato relativo al tasso di fecondità delle donne straniere - che è pari a 2,03 a fronte dell’1,33 delle donne italiane -, soprattutto il fatto che un matrimonio su dieci celebrato in Italia è misto.
I dati mostrano inequivocabilmente il contributo degli stranieri alla vita della nostra società. Eppure, il processo di integrazione e di assimilazione tra le diverse culture viene visto ancora dalla maggior parte degli italiani come un problema. Con parole decise monsignor Mogavero, che a Mazara del Vallo guida una comunità che è giunta ad accogliere ormai la terza generazione di immigrati (leggi negli approfondimenti l’articolo uscito su Popoli su questo tema), fa capire che la vera sfida, ancor prima che essere giocata sul piano economico, riguarda le singole persone: «Bisogna imparare ad aprire agli stranieri il nostro cuore prima che il nostro portafoglio». Solo così si potrà costruire una vera cultura dell’accoglienza che, appunto, passa attraverso una disponibilità mentale ad aprirsi all’altro prima che da un calcolo economico.
Mogavero ha denunciato con forza la politica dei respingimenti, che non può essere umanamente giustificabile perché rifiuta l’altro prima ancora di aver conosciuto i suoi bisogni, e ha ricordato le parole del papa nel
Messaggio per la prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che ha affermato come il diritto a emigrare sia «proprio di ogni uomo».
Ma le parole più sentite del vescovo di Mazara del Vallo forse sono state quelle riferite al Mediterraneo come luogo di incontro tra le culture: «Il mare di Dio deve diventare anche il mare dell’uomo». Non diversamente da come è sempre accaduto, quindi, i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo sono chiamati a coltivare una cultura dell’incontro e dell’apertura all’altro. Un’apertura che ci interpella e che attraverso lo scambio ci aiuta ad arricchire la nostra identità, stimolandoci a sentirci non di fronte ma accanto a chi viene verso di noi.