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In Libia è «caccia all’africano»
23 febbraio 2011
«Sono terrorizzati. Le loro voci al telefono sono angosciate. Da giorni non riescono a uscire da casa neppure per acquistare un po’ di pane. Temono di essere aggrediti e uccisi». Mussie Zerai, sacerdote eritreo, da anni impegnato nella difesa dei diritti umani degli immigrati africani, ha trascorso la notte a parlare al telefono con eritrei ed etiopi che vivono a Tripoli. E nelle sue parole c’è molta preoccupazione.

«Dalla Libia ho ricevuto notizie negative. Questa notte e questa mattina alcuni eritrei mi hanno chiamato e mi hanno raccontato di una “caccia all’africano” in corso nelle strade della capitale. Gli immigrati eritrei ed etiopi vengono fermati, picchiati selvaggiamente e, a volte, addirittura accoltellati. I manifestanti anti-Gheddafi li accusano di essere mercenari del regime. Nei giorni scorsi, la polizia e i servizi di sicurezza libici hanno obbligato molti africani detenuti a prendere le armi contro i rivoltosi. Questi immigrati si sono uniti alla milizia privata di Gheddafi e ai mercenari arrivati da alcuni Paesi africani. Ora i libici non si fidano più di nessuno straniero e, quando ne vedono uno, lo aggrediscono».

Padre Mussie ha notizie anche dalla Cirenaica?
Dalla Cirenaica no, ma l’altro giorno ho parlato con alcuni eritrei detenuti nel carcere di Misurata, una città sul Golfo della Sirte. Mi hanno detto che erano tra due fuochi. Da una parte gli aerei dell’aviazione militare che bombardavano i manifestanti fuori dalla prigione. Dall’altra la polizia penitenziaria che cercava di costringere gli immigrati ad armarsi e a sparare contro i rivoltosi. Molti ragazzi eritrei si sono rifiutati di prendere le armi e sono stati giustiziati sul posto.

E a Tripoli con chi ha parlato?
Ho parlato anche con alcuni eritrei ed etiopi. Sono famiglie con bambini piccoli. Sono barricati in casa e sono molto preoccupati. Non riescono a uscire neppure per acquistare il cibo necessario a sopravvivere. La paura di aggressioni è talmente forte che da alcuni giorni non escono. Io mi sono attivato subito. Ho scritto alla Farnesina chiedendo che l’Italia si faccia carico di loro. Potrebbero imbarcarli su uno dei voli diretti a Roma previsti nel piano di evacuazione. Tra l’altro sono tutte persone che hanno il tesserino dell’Acnur (l’Agenzia Onu per i rifugiati) che li identifica in modo chiaro e certifica il loro status di profughi. Per il momento il ministero degli Esteri italiano non mi ha ancora dato una risposta.
Enrico Casale

© FCSF – Popoli