L’ebola torna a mietere vittime in Africa. Una nuova epidemia del micidiale virus è scoppiata la scorsa settimana in Guinea e si sta velocemente espandendo verso Liberia e Sierra Leone. Per evitare il contagio Senegal e Mauritania hanno già chiuso le frontiere. Le autorità guineiane parlano di un centinaio di morti in pochi giorni. Il rischio è che, considerata l’alta mobilità delle popolazioni africane, la malattia si espanda a macchia d’olio e mieta altre vittime. Ne abbiamo parlato con Dominique Corti, medico, presidente della Fondazione Piero e Lucille Corti, che nel 2000 affrontò un’epidemia di ebola nell’ospedale di Gulu, in Uganda.
Quando è scoppiata l’epidemia a Gulu e quante vittime ha fatto?L’epidemia è iniziata nell’ottobre 2000 ed è terminata nell’aprile 2001. È stata in assoluto la più vasta epidemia di ebola registrata finora. In quell’occasione abbiamo registrato oltre 400 casi di contagio e circa 200 decessi. Successivamente in Uganda si sono «accesi» altri due o tre focolai, ma di minore intensità.
Come nasce un’epidemia di ebola?Il virus è stato trovato in animali (antilopi della foresta, gorilla, pipistrelli della frutta, porcospini e scimpanzè) e con essi convive. Quando questi animali entrano in contatto con l’uomo, trasmettono la malattia attraverso i liquidi corporei (sangue, saliva, ecc.). A loro volta, le persone contagiate trasmettono la patologia ad altre persone sempre attraverso liquidi corporei. La mortalità è molto elevata e va dal 50 al 90% con tassi più elevati tra il personale sanitario e tra coloro che si occupano delle celebrazioni funebri perché hanno maggiore contatto con il virus. L’ebola dà vita a epidemie che vengono definite «fuochi di paglia». Il virus è talmente letale che, in breve tempo, stermina tutto ciò che trova sul cammino e, se non trova più esseri viventi da uccidere, si estingue in tempo altrettanto breve. Sappiamo che ha colpito alcuni villaggi e ha ucciso tutti i loro abitanti prima che il mondo si sia reso conto dell’epidemia.
A Gulu da che cosa è stata originata l’epidemia?Non sapevamo da dove provenisse il virus e, siccome eravamo molto occupati a contenerne l’espansione, non ci siamo molto interessati dell’origine del focolaio. Al termine dell’epidemia arrivarono però esperti sudafricani che catturarono scimmie, pipistrelli e serpenti per studiarli e trovarono alcuni animali positivi. Il nostro caso fu però interessante perché fu la prima volta che un laboratorio attrezzato si trovò a far fronte al virus. Attraverso i test riuscimmo a individuare la patologia e a contenerla.
Come si cura il virus?Non c’è ancora una cura. Sono in corso studi per cercare di realizzare un vaccino e mettere a punto cure efficaci, ma finora non si è riusciti a raggiungere gli obiettivi. L’unico modo per non essere contagiati è evitare il contatto con le persone o gli animali infetti. E infatti, di fronte ai casi di ebola, non si fa altro che isolare i malati cercando così di contenere il più possibile il contagio. È quanto stanno facendo le autorità sanitarie nell’Africa occidentale ed è quanto facemmo noi a Gulu.
Com’è possibile contenere l'epidemia?È un lavoro complesso. I medici devono tenere sempre aggiornate le statistiche delle malattie e dei decessi. Solo così si è in grado di capire se si verificano morti strane e, qualora ci siano state, effettuare i test che possono o meno confermare la presenza dell’ebola e quindi procedere all’isolamento dei pazienti. Adesso i test sono molto più diffusi. In Uganda, per esempio, ci sono. Ma una quindicina di anni fa non c’erano ed era necessario riconoscere la malattia unicamente da alcuni segni particolari.
Enrico Casale