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L’identità meticcia del cibo
25 ottobre 2012
Da oggi a lunedì a Torino si tiene il Salone del Gusto - Terra Madre, una rassegna organizzata da Slow Food, alla quale partecipano decine di chef, artigiani e contadini italiani, europei e del Sud del mondo legati alla produzione di alimenti che preservano il valore culturale e la valenza sociale del cibo.
In occasione di questo evento, anticipiamo la prefazione, firmata da Carlo Petrini, fondatore e presidente di Slow Food, del libro (in uscita a novembre) che raccoglie gli articoli di etnogastronomia pubblicati negli ultimi anni su
Popoli dall’antropologa Anna Casella Paltrinieri.


Leggere Sapori & saperi - Cibi, ricette e culture del mondo di Anna Casella Paltrinieri è un po’ come ripercorrere molti dei miei viaggi e rivivere altrettanti incontri. Sono piccole pillole di mondo, di un mondo fatto di sapori e culture, raccontate con leggerezza e al tempo stesso profondità.
Certo, ormai non c’è testata o rivista che oggi non ospiti rubriche dedicate all’enogastronomia. Sia inteso, questo non è un male, anzi, è anche il frutto di una nuova consapevolezza, talvolta però è più il cavalcare l’onda di una tendenza. Ormai è assodato l’assioma che cibo è cultura e molti si riempiono la bocca (anche metaforicamente e ciò la dice lunga) con questo concetto, portato talvolta alla banalizzazione. Detto questo, spesso tra un approccio autentico e uno meramente strumentale al cibo quale fattore culturale, corre un abisso.
L’attenzione alle culture «altre», che di questi tempi lo sono sempre meno e, anzi, diventano sempre più vicine e «nostre», è una caratteristica che ritrovo nella rivista Popoli, così come nel lavoro di Anna Casella. Un conto, infatti, è fare folklore e colore con una ricettistica fine a se stessa, un altro è narrare in modo divulgativo, con un metodo antropologico, la storia, l’origine, la diffusione di piatti e cibi.
Il discorso parte quindi da più lontano: dal rapporto imprescindibile tra cibo - inteso non solo come nutrimento e «carburante», ma come trasformazione di prodotti della natura -, conoscenza e uomo. Nel libro si parte infatti proprio da questo punto: cibo come conoscenza, cibo come saper fare, cibo come lavoro dell’uomo (e soprattutto della donna).
Questo studio, poi, approfondisce la forte manualità legata alla produzione alimentare, che passa attraverso il ruolo maschile e femminile, alla capacità di riconoscere, raccogliere e utilizzare i prodotti della terra; analizza poi lo sviluppo delle tecniche di trasformazione che nei secoli si sono inventate, acquisite, perfezionate, codificate, per toccare il rapporto tra uomo e natura (i cicli stagionali, la ritualità collegata, la precettistica religiosa, ecc.).
Ogni popolo, in ogni regione del pianeta, ha elaborato una propria tradizione culinaria: e come ogni tradizione culturale, c’è chi l’ha impugnata e la impugna per farne una bandiera identitaria, di tipicità, omettendo il fatto che ogni tradizione è raramente pura, incontaminata e senza connessioni con il mondo. È stato così in passato, ed è così oggi. Gli spaghetti al pomodoro, il piatto italiano per eccellenza, sono frutto di un meticciato antico, con la pasta che ha origini in Cina e il pomodoro portato dall’America. Questo è vero per noi oggi, ma non sarà anche vero per nuovi piatti e nuovi prodotti in futuro? In un mondo che è sempre più piccolo, sempre più fluido, sempre più comunicante, ha ancora senso parlare di tipicità locali?

TRADIZIONE E CONTAMINAZIONE
Alla luce dell’esperienza dell’associazione che presiedo, posso dire di sì, ma con un occhio di riguardo verso l’apertura, lo scambio, la trasfusione di conoscenze. Negli anni Slow Food ha evidenziato fortemente l’importanza del territorio, dell’idea di Presidio di un prodotto, del saper fare e di interconnessione con l’ambiente che questo prodotto genera. Sono nati e rinati spunti e progetti di rilancio di luoghi e di professionalità in via di estinzione. Sono anche stati rinforzati orgoglio e amore per la propria terra, così come la consapevolezza dell’essere contadini e artigiani del cibo. Tutto questo, però, sarebbe sterile e ottuso se non si fosse aperti all’altro. E se non si fosse coscienti di quanto l’ibridazione culturale sia un processo tanto ineluttabile quanto arricchente.
Per chiarire maggiormente questo concetto, può essere utile rifarsi all’analisi di Arjun Appadurai, un antropologo sociale indoamericano, che meglio di tutti ha saputo tratteggiare la modernità e la globalizzazione. Appadurai ha elaborato cinque nuovi concetti - definiti «etnorami» globali - per descrivere le dimensioni e i flussi culturali globali che contraddistinguono il nostro mondo odierno: «ethnoscapes», «mediascapes», «technoscapes», «financescapes» e «ideoscapes», dove «-scape» sta per «-orama» da panorama. L’«etnorama» definisce il flusso di persone - siano migranti, turisti, lavoratori - che si muovono costantemente tra gli Stati e sempre più influenzano le politiche nazionali e internazionali; il «mediorama» è il flusso delle immagini veicolate dai mass media; il «tecno- rama», invece, riguarda il flusso della tecnologia attraverso confini sempre meno definibili; il «finanziorama» è il flusso di denaro in tutte le sue forme; infine, l’«ideorama» è il flusso delle idee e delle ideologie. Questi flussi sono disgiunti, ma ognuno di loro influenza l’altro.
Sulla scia di questa analisi, che trovo appassionante ed efficace, nel campo dei food studies si sono adattati nuovi «-scapes», i «foodscapes», che fotografano le abitudini e gli stili alimentari alla luce dei processi di globalizzazione che riguardano la nostra società. Quello che è infatti applicabile ai diversi paesaggi culturali emersi con la globalizzazione, può essere a buon diritto anche applicabile al mondo del cibo. Che pure è sempre più fluido, per dirla alla Bauman, ma che, per converso, può cristallizzarsi sempre più in compartimenti stagni identitari di forma difensiva. Ecco che quindi, nell’ottica di «ethnoscapes» sempre più ampi, anche i «foodscapes», i paesaggi alimentari, diventano un nuovo paradigma che non possiamo non tenere in considerazione.
La dimensione transnazionale che riguarda non solo i migranti, i quali gestiscono e conducono vite a cavallo tra Paese d’origine e Paese d’immigrazione, ma sempre più larghe fasce nella popolazione italiana (vuoi per studio, vuoi per motivi di lavoro o altro ancora), ci porta a incorporare in quella che noi rivendichiamo come cultura alimentare italiana, nuovi «foodscapes», nuovi sapori, nuovi saper fare.
Le pillole di cultura alimentare che Anna Casella Paltrinieri ogni mese distilla su Popoli e che qui sono raccolte, ci aiutano a vedere e a capire quel che sta dietro a un piatto, le connessioni che ci sono tra consuetudini che pensavamo lontane, il rapporto fra tradizione culinaria e ambiente, l’influenza che il cibo ha sulla cultura, sulla lingua e sul patrimonio materiale e immateriale di un popolo, suggerendo anche, a chi vuole cimentarsi, una versione accessibile della preparazione del piatto stesso.    
Carlo Petrini
 Presidente di Slow Food


IL VOLUME
Sapori & saperi - Cibi, ricette e culture del mondo non è il solito libro di ricette. È piuttosto un viaggio nelle culture culinarie. Un itinerario che mette in evidenza come il cibo non sia solo un alimento, ma lo specchio delle identità e delle tradizioni di ogni popolo. L’A, antropologa, che in questo libro ha raccolto gli articoli di etnogastronomia pubblicati dal 2008 su Popoli, racconta tradizioni, usanze, storie, miti e leggende legate a singoli piatti, dei quali offre anche ingredienti e sistemi di preparazione.

Anna Casella Paltrinieri
Sapori & Saperi - Cibi, ricette e culture del mondo
Ed.it, Firenze 2012, pp. 236. euro 16


© FCSF – Popoli
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