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Laici missionari, una sfida per tutta la Chiesa
15 ottobre 2013

Nel 1957 papa Pio XII con l’enciclica Fidei donum sollecitava le diocesi del mondo ad inviare presbiteri nelle giovani Chiese, soprattutto dell’Africa. Da allora i preti diocesani inviati in missione sono stati chiamati fidei donum, cioè «dono della fede». L’importanza di questa enciclica è grande: essa anticipa la convinzione esplicitata poi dal Concilio Vaticano II che soggetto della missione è ogni singola Chiesa locale con il suo vescovo (e non più soltanto la Chiesa di Roma e dunque il Papa) e colloca, sia pure in maniera germinale, l’impegno missionario nell’orizzonte del dono e nella logica dello scambio (di doni).

Ci sono voluti però 50 anni, e cioè la ripresa della profezia del Concilio e insieme la presa d’atto di decenni di impegno dei laici nella missione delle loro Chiese, affinché anche a laici inviati dalle loro diocesi in Italia venisse accordato il nome di fidei donum.

Il documento della Commissione episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese della Cei, datato 2007 (50° anniversario della Fidei donum) e intitolato Dalle feconde memorie alle coraggiose prospettive, recita così al numero 7: «Oggi, più che ragionare in termini di “necessità”, ci sembra adeguato parlare dei fidei donum come di una “scelta” legata all’identità stessa della Chiesa, mistero di comunione e missione. Con il Concilio Vaticano II, infatti, l’ecclesiologia ha messo in evidenza l’integrazione della dimensione missionaria nella natura stessa della Chiesa intera: non solo ai presbiteri e ai religiosi, ma anche ai laici - in quanto pienamente partecipi della missione della Chiesa - è rivolto con sempre maggiore chiarezza l’invito a considerare la missione alle genti. In questi ultimi anni risulta in effetti significativa la partenza di laici fidei donum, come singoli e come famiglie, che con un mandato formale del proprio vescovo si recano in altre Chiese per l’annuncio del Vangelo e la testimonianza della carità».

Il documento si concludeva con alcuni segnali di allarme: «Non possiamo ignorare il fatto che in questo momento diminuiscono gli invii da parte delle Chiese di antica tradizione. Tra le cause del fenomeno, va indubbiamente annoverata la diminuzione del clero e il conseguente innalzarsi della sua età media, ma vanno considerate anche altre ragioni legate alla cultura, alla messa in discussione dell’idea stessa di missione e a una pastorale che privilegia l’erogazione di servizi rispetto all’evangelizzazione. Inoltre, non deve essere sottovalutato il fatto che un contesto di benessere diffuso può frenare lo slancio missionario».

A fronte di un’esperienza liberante e valorizzante fatta dai nostri laici missionari, l’ecclesiologia (più quella inconscia che quella conscia, se così si può dire) resta angusta. I nostri fidei donum laici tornano arricchiti di una visione e di una sapienza evangelica che solo la frequentazione di Chiese povere e di poveri sa offrire. Nonostante la necessità anche qui da noi costringa in molti modi e in molti ruoli ad attribuire responsabilità ai laici, rimangono in auge, sia in Italia come anche in missione, linguaggi e mentalità di supplenza o quando va bene di collaborazione. L’idea invece di una Chiesa dove tutti, in nome di un carisma e di un ministero sono corresponsabili, resta appunto un’idea.

Ci sono naturalmente interessanti eccezioni, dalle quali però ancora non abbiamo imparato abbastanza. Forse dovremmo prendere, tutti insieme, l’occasione del rientro dei nostri fidei donum laici e preti per farne un laboratorio pastorale e teologico capace di ricentrare le priorità della missione ecclesiale. Nei contenuti, e ancor più nello stile, la missione attesta un’immagine di Dio. Se siamo chiamati e mandati per essere testimoni di un Regno nel quale nessuno è suddito e nessuno è «padre», dove tutti sono figli/e, fratelli/sorelle, principi e principesse, e dunque «di casa», un po’ di cose dovrebbero cominciare a cambiare. Sapendo che su queste cose si giocava il buon nome del Padre nostro, Gesù ci ha messo la vita e ci ha invitato a fare altrettanto.

Luca Moscatelli
Teologo, Ufficio missionario della Diocesi di Milano

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