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Le tappe di una crisi
La Grecia si è unita al gruppo dei Paesi dell’euro il 1º gennaio 2001, pur restando un osservato speciale. Nel 2004, dopo avere sostenuto ingenti spese per i Giochi olimpici di Atene, il governo ha ammesso di non avere mai rispettato il livello massimo di deficit pubblico al 3% come richiesto per aderire all’euro. Nel 2005 ha proposto iniziative per riequilibrare il bilancio, mentre il Pil cresceva a ritmi sostenuti. Ma la crisi finanziaria internazionale ha colpito duramente il Paese nel 2008 e l’anno dopo la maggioranza di centro-destra è stata sostituita da una di centro-sinistra. George Papandreou, leader socialista del Pasok, è diventato primo ministro.

La situazione finanziaria è esplosa: il debito pubblico è passato in 5 anni da 170 a 260 miliardi di euro e il deficit è schizzato oltre il 6% del Pil mentre la crescita si è fermata. Nel dicembre 2009 per la Grecia è arrivato il primo declassamento da parte delle agenzie internazionali di rating. Il governo ha messo a punto il primo di una serie di piani di riforme, tagli e aumento delle tasse e nel 2010 sono iniziate le proteste di piazza.

Ancora nel febbraio 2010 la Germania, principale economia della zona euro, si opponeva a interventi di aiuto straordinari per la Grecia, mentre il governo faceva sempre più fatica a collocare i titoli pubblici e calava la fiducia dei mercati nella capacità dei greci di uscire dalla crisi con le proprie forze. L’11 aprile 2010 l’Ue ha approvato un primo pacchetto di aiuti per 30 miliardi di euro e pochi giorni dopo Atene ha chiesto l’aiuto anche del Fondo monetario internazionale. Il 2 maggio Ue e Fmi hanno definito un piano triennale di aiuti da 110 miliardi, chiedendo in cambio al parlamento greco di approvare una radicale riforma pensionistica.

Nel 2011 la situazione permane incerta. Il governo cerca in ogni modo di evitare una ristrutturazione del debito, cioè la rinegoziazione delle condizioni originarie dei prestiti, che significa ammettere di non essere in grado di onorarle. Accelera i tagli di spesa e le privatizzazioni (tra cui quella del porto del Pireo) che dovrebbero consentire introiti per 50 miliardi entro il 2015. Intanto i governi dell’Eurozona manifestano continui disaccordi sulle modalità di intervento nella crisi che può travolgere l’intera area monetaria. Il 22 giugno scorso Papandreou ha ottenuto la fiducia per un nuovo esecutivo (il terzo in tre anni) e ha subito varato un nuovo duro piano di austerità da 28 miliardi per evitare il default e cercare un’uscita dalla crisi che ancora non si intravede: le proteste di piazza a fine giugno sono state le più violente della storia recente della Grecia.
f.p.
© FCSF – Popoli
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