Mario Monti, premier italiano, e Mustafa Abdel Jalil, presidente
Comitato nazionale di transizione libico (Cnt), nell’incontro che hanno
avuto giovedì 15 dicembre, hanno riattivato il Trattato di amicizia,
partenariato e cooperazione che era stato siglato dal leader libico
Muammar Gheddafi e dal premier italiano Silvio Berlusconi nel 2008.
Il
Trattato è molto complesso, ma ha, fondamentalmente, tre obiettivi:
chiudere il contenzioso coloniale tra i due Paesi (senza però risolvere
il problema dei risarcimenti agli italiani espulsi dalla Libia nel
1970), creare i presupposti per una collaborazione in campo energetico,
attuare gli accordi siglati in passato per contenere l’immigrazione
clandestina.
L’Italia si è impegnata a investire 5 miliardi di dollari in 25 anni in
infrastrutture. In particolare, nella realizzazione di un’autostrada
costiera dalla frontiera con la Tunisia a quella con l’Egitto, nella
costruzione di abitazioni, nella creazione di borse di studio per
studenti libici e nell’erogazione di pensioni di invalidità per i
mutilati dalle mine seminate dall’esercito italiano durante la seconda
guerra mondiale. La Libia da parte sua deve impegnarsi nella lotta
all’immigrazione clandestina attuando l’accordo siglato il 29 dicembre
2007 dal governo Prodi (e al quale avevano lavorato i governi Dini e
D’Alema) che prevede il pattugliamento congiunto delle coste libiche e
la fornitura di attrezzature e mezzi per controllare i flussi degli
immigrati. La Libia poi ha accettato l’Italia come partner di
riferimento nello sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio. I
principali beneficiari, a livello commerciale, sono imprese italiane. In
prima fila i grandi gruppi statali Finmeccanica ed Eni. L’intesa
prevede infatti concessioni quarantennali per l’Eni. Finmeccanica
dovrebbe invece fornire una serie di attrezzature elettroniche e di
elicotteri per aiutare le forze dell’ordine libiche nell’azione di
controllo dell’immigrazione.
La «riattivazione» del Trattato è
arrivata, non annunciata, a meno di due mesi dalla morte di Gheddafi (20
ottobre) e ha sorpreso molti osservatori. Sul Trattato infatti le
diverse anime del Cnt erano divise e non ci si aspettava che in così
breve tempo il presidente Jalil avrebbe trovato un accordo con il
governo di Roma. «Il Cnt - spiega Andrea Varvelli, analista
dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) - ha una
scarsa legittimazione politica interna. È un Comitato formato da
tecnocrati non eletti ed è sostenuto dall’appoggio che gli arriva
dall’estero: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia. È quindi ovvio
che, almeno finché non ci sarà un governo legittimato dalle elezioni
politiche, il Cnt cercherà di non inimicarsi gli alleati stranieri. Il
rinnovo del Trattato si comprende solo in quest’ottica».
All’Italia il Trattato offre indubbi vantaggi (l’accesso al petrolio e
al gas libico, le commesse per la costruzione delle infrastrutture, le
forniture di materiale di sicurezza per controllare i confini), ma anche
l’onere di versare i 5 miliardi di euro. «Chi ne trae grande vantaggio è
certamente l’Eni - sostiene Varvelli - che potrà continuare a pompare
petrolio e gas in Libia, ma anche le nostre aziende di costruzione.
Anche se non credo che ai libici interessi più la famosa autostrada
litoranea. Per Gheddafi, un’opera simile era un modo per dimostrare la
vittoria sul colonialismo. La nuova classe politica invece sembra
disinteressarsi del colonialismo. Forse chiederanno alle imprese
italiane di costruire altre infrastrutture».
Il problema è capire cosa potrebbe succedere dopo la nomina di un
governo espressione di un nuovo parlamento. Al Trattato sarà dato
seguito? Verrà modificato? Dal punto di vista politico, la Libia non
dovrebbe differire di molto dai Paesi vicini. Come in Tunisia e in
Egitto, anche in Libia nelle elezioni probabilmente si affermerà un
partito emanazione dei Fratelli musulmani (che potrebbe ottenere tra il
40 e il 50% dei consensi) e uno di matrice salafita (islamici
fondamentalisti, intorno al 20-30% dei voti). «A differenza di Egitto e
Tunisia - osserva Varvelli -, in Libia i movimenti politici hanno una
forte connotazione territoriale e non nazionale. Da sempre chi proviene
dalla Cirenaica tende a prendere le distanze da chi è originario della
Tripolitania o dal Fezzan e viceversa. Questo è un elemento di
complessità, ma alla fine non credo che il Paese si spaccherà. Tutte le
fazioni hanno capito che per una gestione ottimale delle risorse
petrolifere è necessario mantenere lo Stato unito. Quindi se è vero che
ci saranno difficoltà, non penso si arriverà a una situazione di
anarchia. È nell’interesse di tutti sfruttare la ricchezza e ripartirla
piuttosto che combattersi».
e.c.