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Quando sport fa rima con integrazione
4 gennaio 2012
Nel 2012, anno delle Olimpiadi di Londra, i Pics di Popoli saranno dedicati allo sport, strumento di promozione sociale, valorizzazione delle culture e riconciliazione. Su questo tema abbiamo chiesto un commento a Massimo Achini, presidente del Centro sportivo italiano, che per il 2012 ha dato il patrocinio ai nostri fotoreportage.

I processi migratori, che oggi vedono spostarsi dal Sud al Nord del mondo masse di individui spinti dalla povertà, potranno anche assottigliarsi man mano che zone «povere» dell’Asia o dell’Africa troveranno la via dell’emancipazione economica, ma la costruzione del «mercato globale» non potrà che mischiare le carte, nel senso di moltiplicare la possibilità di costruzione di comunità multirazziali e multiculturali. Ecco quindi che l’interculturalità, intesa come abitudine o disponibilità a vivere in un contesto fatto di più culture, diventa un tratto sociale di rilevante importanza.

Lo sport è oggi riconosciuto unanimemente come strumento primario di educazione informale. Basti ricordare che sullo sport come mezzo per educare alla società interculturale fanno affidamento l’Onu (vedi risoluzione 59/10 del 2004), l’Unione europea, il Comitato internazionale olimpico.

Perché questa fiducia? Entrano in gioco alcune caratteristiche specifiche dello sport, e in particolare delle discipline di squadra. Chi è avvezzo a frequentare gli spogliatoi di una qualsiasi squadra, o a sedere sulla sua panchina, sa benissimo che il legame che si forma tra compagni - che devono vincere insieme per non perdere insieme - è così forte da non permettere distinzioni tra colori delle pelle, accenti, modi di pregare.

Un secondo elemento a favore è costituito dall’essere lo sport una «cultura» diffusa omogeneamente: le regole di gioco, gli stili fondamentali di comportamento sono uguali ovunque, accettati e compresi ovunque. Lo sport è dunque terreno di incontro ideale per comunicare partendo da una base culturale comune.

Terzo elemento è essere un’attività non «costrittiva». A differenza dell’educazione scolastica, l’educazione attraverso lo sport è fatta anche di gioco, di divertimento, di liberazione della creatività, di possibilità per il corpo e la psiche di esprimersi come un tutt’uno. E quando ci si diverte, si apprende più volentieri.

Non c’è dunque da meravigliarsi se un numero sempre maggiore di istituzioni politiche e sociali considerano le attività sportive come un mezzo per promuovere l’inclusione sociale delle minoranze, un terreno dove le comunità immigrate e le società ospitanti possono interagire positivamente con maggiore efficacia, uno strumento per contribuire alla coesione e all’integrazione sociale di gruppi «vulnerabili».

Tutto ciò senza dimenticare però che l’efficacia educativa dello sport dipende dal modo in cui esso viene proposto e organizzato. Vanno costruite proposte che evidenzino e valorizzino le potenzialità educative dello strumento. Uno sport «sciatto», generico, superficiale rappresenta al massimo un’attività aleatoria di tempo libero. Occorre progettualità educativa specifica.

Il Centro sportivo italiano applica da tempo questo concetto, con riscontri più che positivi. Ha portato le sue proposte di sport tra gli immigrati, tra i nomadi e in altri gruppi vulnerabili, riscontrando che lo sport contribuisce realmente ad abbattere pregiudizi, paure, resistenze. Oggi può affermare, documentandolo, che lo sport è realmente uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’umanità per costruire una società globale e interculturale.
Massimo Achini

© FCSF – Popoli