Anche la Libia sarà travolta dal vento rivoluzionario che ha investito la Tunisia e l’Egitto? Secondo il quotidiano AlSharq Al-Awsat, il principale quotidiano arabo internazionale con sede a Londra, gruppi libici di opposizione hanno proclamato tramite internet il 17 febbraio «Giornata della collera». Questa manifestazione avrebbe messo in apprensione il governo di Tripoli e, in particolare, la «Guida», Muhammar Gheddafi. La notizia è stata ripresa con buon rilievo dalla stampa italiana. Meno risalto ha avuto sulla stampa internazionale. La televisione in lingua araba al-Jazeera ha smorzato i toni, sostenendo, in un servizio messo in onda il 9 febbraio, che dietro la manifestazione ci sarebbe addirittura la mano dallo stesso Gheddafi che, in questo modo, permetterebbe all’opposizione di trovare uno sfogo alle proteste e, allo stesso tempo, dimostrerebbe all’estero che in Libia c’è spazio per il dissenso.
«Fare l’indovino è difficile - osserva Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi, esperto di Maghreb -. Nessuno avrebbe mai previsto in autunno una rivolta in Tunisia, un Paese stabile con un’economia in crescita. Quindi è difficile sapere come evolverà la situazione in Libia. Tuttavia sono scettico su questa manifestazione. Forse è vero, come dice al-Jazeera, che è un’iniziativa del regime. A mio parere i problemi per il regime arriveranno da un’altra parte».
È la Cirenaica il vero punto debole di Gheddafi. La regione orientale, che ha come capoluogo Bengasi e confina con l’Egitto, da sempre è insofferente al regime. Nel 2006 violente manifestazioni, che ufficialmente si rivolgevano contro l’Italia (il ministro Calderoli aveva indossato una maglia antislamica), dimostrarono la capacità organizzativa dell’opposizione. Non è un caso che la polizia represse in modo molto duro le dimostrazioni, uccidendo sette persone. Qui, dove la disoccupazione tocca il 30% della popolazione attiva, è forte anche il fondamentalismo. Il Fronte libico islamico, affiliato ad al-Qaeda, ha le sue basi in questa regione. «Nel 2008 - continua Varvelli -, un figlio di Muhammar Gheddafi, Saif al-Islam, ha condotto trattative con i fondamentalisti che hanno portato alla liberazione dei prigionieri politici dalle carceri e alla cessazione delle attività degli integralisti in Libia. Se questa intesa terrà in futuro è tutto da verificare».
La Libia, pur avendo solo sei milioni di abitanti, è un Paese complesso che, dal punto di vista sociale e politico, si regge su delicati equilibri clanici. «In Libia esistono un centinaio di clan - osserva Varvelli -. Il potere va gestito tenendo presente le specificità di ciascun clan. In questo Gheddafi, è stato abilissimo. Nei governi e nella pubblica amministrazione sono sempre stati rispettati gli equilibri e i rapporti fra i gruppi». Gheddafi ha avuto sempre buon gioco anche perché poteva contare su entrate pubbliche consistenti, grazie ai proventi del petrolio e del gas. «In questo senso - conclude Varvelli - Tripoli è diversa da Tunisi e dal Cairo. Grazie alle royalty derivate dagli idrocarburi, Gheddafi è sempre riuscito ad “anestetizzare” qualsiasi protesta. Se infatti osserviamo con attenzione la frequenza delle manifestazioni antiregime, storicamente esse sono state più frequenti quando il prezzo del petrolio era basso o quando il Paese è stato colpito dalle sanzioni internazionali. In quei momenti era più difficile per il raiss garantire i prezzi agevolati per le materie prime e le prebende per i burocrati».
Dopo 42 anni di potere, Gheddafi si sta preparando alla successione. I due figli Saif el-islam e Mutassim sono in pole position per prendere il posto del padre. Ma il futuro del Paese dipenderà anche da chi, tra riformatori (che chiedono una costituzione e più diritti) e vecchia guardia (ancorata all’attuale sistema politico), vincerà la lotta all’interno della classe dirigente.
Enrico Casale