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Siria, lettera di Natale da Mar Musa
8 dicembre 2013

La comunità monastica di Deir Mas Musa, in Siria, ha diffuso ieri la consueta Lettera di Natale agli amici. La lettera è firmata da suor Houda Fadoul, che guida la comunità dopo l'espulsione dalla Siria del fondatore, il gesuita Paolo Dall'Oglio, nel giugno 2012. Dall'Oglio è stato poi rapito nel nord del Paese alla fine di luglio. Pubblichiamo alcuni passaggi della lunga lettera, densa di riflessioni spirituali così come di racconti sulla drammatica quotidianità di un Paese in guerra.


Ogni volta che tento di scrivere queste righe a voi, cari nostri amici, mi trovo confusa, poiché le parole mi tradiscono e non mi aiutano a trasmettere l’amarezza che si trova nel mio cuore, la confusione che occupa la mia mente, a causa del dolore e la tristezza per quello che viviamo nel nostro caro paese, la Siria. L’amore per la patria in me è grande ed è profondo, il che apre una ferita lancinante nel mio cuore e a questo non trovo altro rimedio che la preghiera, come fanno numerosi siriani in questi giorni.

Alcuni definiscono la preghiera come un’arte che esercitiamo davanti a Dio, dove scegliamo le parole e le espressioni che gli piacciono cercando di soddisfarlo e di essergli vicini; come un intimo incontro che sperimentiamo con colui che amiamo; come una vera relazione che s’impossessa del nostro cuore, mentre altri la vivono come una sosta davanti a Dio per lodarlo e ringraziarlo per i suoi doni.

Tutto potrebbe essere vero. Personalmente, invece, trovo la preghiera in questi giorni come dialogo tra noi e Dio in cui abbondano le nostre richieste, le nostre domande e le nostre speranze. Vorremmo che fossero esaudite velocemente ed eseguite in modo che ricolmino i nostri bisogni e donino la pace, la riconciliazione e il perdono a tutti i figli del nostro paese e del mondo intero. Ci uniamo in questo alla posizione del successore di Pietro, il papa Francesco, quest’umile papa amico dei poveri e vicino agli afflitti, solidale con la sofferenza del nostro popolo (...).

Ritorna sempre nella nostra preghiera una domanda proveniente dalle profondità della nostra tristezza: dove è Dio in tutto ciò che ci accade? È veramente assente? O forse si è deciso di prendere posto nelle sue altezze e starci a osservare? Spesso dimentichiamo che è Dio colui che ha preso l’iniziativa e ci ha amato e si è rapportato a noi, è quindi impossibile che ci lasci, Egli che ha detto: «Non temere o piccolo gregge» (Lc 12,32). Egli vuole che noi siamo persone responsabili e coscienti ciascuno del proprio ruolo e della propria vocazione. Siamo certi che Dio agisce e provvede alle cose come le vede possibili e convenienti, in maniera che non abolisce la responsabilità dell’uomo, anzi la rispetta e la rende più efficace per il bene comune.

Scopriamo di nuovo in questi difficili tempi l’efficacia della preghiera come unica maniera per uscire dai nostri sentimenti negativi, dalla paura e dall’angoscia per quanto riguarda la nostra esistenza e il nostro futuro. Ci affidiamo a Dio, nostro sostengo e nostro aiuto, per vincere le tribolazioni e per vivere la speranza alla quale siamo invitati essendo discepoli di Gesù figlio di Maria che ci ha chiamati ad essere un segno di speranza per coloro che ci stanno intorno. (...)

Siamo molto addolorati e angosciati per quanto riguarda il destino del nostro fondatore, padre Paolo. Non ne abbiamo nessuna notizia certa dopo la sua sparizione, non sappiamo a chi chiederne, né a chi rivolgerci per un eventuale aiuto. Sappiamo però, di poterci affidare al Buon Dio, clemente e misericordioso, e alle preghiere di tantissime persone di buona volontà nel mondo, di diverse religioni e nazioni, per il nostro amato fratello e maestro. Noi siamo in costante preghiera per la sua sicurezza e tranquillità. Speriamo che finisca presto la tragedia di ogni rapito, scomparso o detenuto. Preghiamo senza sosta anche per i due vescovi e gli altri sacerdoti sequestrati, e per tutti i prigionieri e gli ostaggi, per chiunque manca dai suoi,e soprattutto coloro di cui non si sa niente.

L’atmosfera a Mar Musa è simile a quella dell’anno scorso: non ci sono pellegrini né visitatori a causa della situazione generale. I tempi di profondo silenzio abbondano, il che invita ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Stiamo provando, per quanto possibile, ad approfittare di questi  tempi per la nostra crescita spirituale. Vorremmo che partecipino a questo silenzio tutti i nostri amici e tutti coloro che amano la meditazione e cercano il silenzio. È ovvio che quando il monastero era affollato di gente non avevamo che l’ora di meditazione serale per assaggiare il silenzio del deserto.

C’impegniamo però nel futuro -speriamo prossimo- quando ritorna la “benedetta ressa”, a creare uno spazio maggiore per il silenzio vivo, a Dio piacendo. È vero che in questo frangente non pratichiamo l’ospitalità, non facciamo seminari né qualsiasi altro tipo di attività religiosa o socio-culturale, tuttavia rimaniamo qui con l’aiuto di Dio, per il Suo amore e in solidarietà con i figli delle nostre chiese e con i nostri fratelli e sorelle musulmani in quest’amato Oriente. Noi leggiamo la continuità del nostro “rimanere” sulla luce della speranza in un futuro in cui giustizia e verità si abbracciano.

Frà Jacques dedica tutto il suo tempo a Qaryatayn per accogliere le famiglie dei rifugiati che son venuti al monastero di Mar Elian (un altro monastero della Comunità, ndr) cercando aiuto e protezione. Il numero dei rifugiati che sono arrivati al monastero dalla città stessa di Qaryatayn nei mesi scorsi supera i cinquemila, con una maggioranza musulmana (donne, bambini ma anche anziani/e adulti/e). Dormivano come gli Scout, dappertutto, in chiesa, nelle sale e perfino sui tetti con il freddo. Ringraziamo il Signore che la loro fuga è stata in primavera e non in inverno.

Oggi, mentre scrivo questa lettera, Jacques accoglie più di 450 rifugiati dai villaggi vicini: sono tutti musulmani (57 famiglie con 97 bambini sotto i 10 anni), scampati alla morte e agli spari. Da qualche mese la situazione di sicurezza a Qaryatayn è buona, la città è tranquilla e quasi stabile, mentre i villaggi vicini soffrono ancora. Aiutare queste persone è stato possibile grazie alle vostre donazioni e alla solidarietà di tante persone che hanno avvertito la responsabilità verso chi soffre. Tuttavia abbiamo ancora bisogno di aiuto, poiché questi sfollati sono rimasti senza niente, le loro case sono state saccheggiate e bruciate, i loro villaggi distrutti, le infrastrutture sono da rifare, non hanno più elettricità … né un posto al quale tornare. «Solo nel contatto con loro, nel giocare con i loro bambini - dice padre Jacques - ho capito il mio voto di povertà. Ho capito cosa vuol dire che il Figlio di Dio ha lasciato tutto e si è incarnato in una povera ragazza per diventare figlio dell’uomo».

Tanti chiedono a Jacques: «Padre! Perché costruite ancora e per chi? I cristiani emigrano e non sono graditi da tanti nei paesi islamici!». Egli s’esprime così: «noi crediamo alla provvidenza divina che ci ha protetti lungo secoli nella nostra terra. Costruiamo per servire i poveri, per insegnare ai bambini, musulmani e cristiani, affinché non muoia la speranza, vogliamo rimanere un segno di speranza per il resto della parrocchia e per tutti gli altri. Siamo fieri di ospitare i musulmani nella casa di Dio, questo è il loro diritto ed è il nostro dovere».

Gli sforzi del monaco Jacques insieme al Muftì della città con alcune persone di riguardo tra i musulmani, hanno risparmiato la città stessa e l’hanno salvata dalla distruzione imminente a causa della battaglia che stava per scatenarsi in loco. È stata infatti fatta una tregua che ha prodotto una soluzione locale tra i due lati del conflitto eha garantito la pace nella città oltre che preparato il terreno per una riconciliazione futura più profonda, speriamo! Questa comune iniziativa affiancata al soccorso che fa il monastero di Mar Elian, ha contribuito a fortificare l’amicizia e il rispetto reciproco tra i musulmani e i cristiani di Qaryatayn. Tra i frutti tangibili di questa vicinanza c’è stato un campo (tipo oratorio) per i bambini della città, musulmani e cristiani, organizzato a Mar Elian con l’aiuto di alcuni amici di Damasco durante due giorni della festa musulmana dell’Adha (festa del Sacrificio). I bambini venivano al mattino al monastero, insieme giocavano, facevano diverse attività e mangiavano per poi tornare a casa di sera. Auguriamo a tutti i bambini siriani e a quelli del mondo intero, dovunque, che possano giocare insieme sempre, invece di combattersi come fanno troppo speso gli adulti.

Cerchiamo, tutti noi monaci e monache, di non lasciare Jacques da solo. Perciò ci alterniamo a visitarlo uno dopo l’altro a turno, e affiancarlo per circa una settimana quando le circostanze lo permettono. Anche lui ci viene a trovare a Mar Musa quando può. Tuttavia il peso è divenuto un po’ più leggero per Jacques poiché, anche se lo faceva con tanta pazienza e amore, non deve più venire ogni settimana per il servizio della Divina Liturgia (la Messa), vista la presenza di frà Jihad, che ha finito la sua licenza in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico di Roma. La presenza di questo fratello tra di noi è una vera grazia. Ora godiamo la celebrazione Eucaristica ogni giorno, soprattutto quella solenne domenicale che è il centro della nostra vita.

Suor Houda invece, non vi nasconde, cari amici, che il suo incarico come responsabile della Comunità monastica non è facile, come potete immaginare. «Più volte – dice lei - mi sono confrontata con la mia debolezza e mi sono sentita un gran peso dentro. Dio, l’Amico, mi è però stato d’aiuto. Egli mi conosce e viene sempre nel momento giusto per sostenermi». Gli altri fratelli monaci sono anche di gran sostegno con la loro carità e solidarietà. Bisogna anche dire che alcuni amici hanno espresso in continuazione la loro carità e solidarietà, in diversi modi. La loro amicizia e preghiera ci danno forza per andare avanti.

© FCSF – Popoli