Questa volta la tensione non è al confine settentrionale con l’imprevedibile Corea del Nord, ma al lato opposto, nell’isola meridionale di Jeju, strategicamente al centro del Mar cinese orientale. In questo lembo di Sud Corea che ospita alcune aree naturali più importanti del Paese (protette dall’Unesco) e che si trova a 200 chilometri dal Giappone e a 400 dalla Cina, la marina sudcoreana ha avviato la costruzione di una base da quasi un miliardo di dollari e la conseguente distruzione di oltre un chilometro di costa. Barriera corallina e fauna marina dovrebbero fare posto a una ventina di navi militari, ma la decisione di Seoul ha scatenato l’opposizione dei duemila abitanti del villaggio di Gangjeong che non sono rimasti soli.
Se le proteste locali sono iniziate nel 2007, con la recente apertura dei cantieri la questione è diventata di rilevanza nazionale. Mondo cattolico e mondo protestante (circa 11% e 18% dei 50 milioni di sudcoreani) si sono schierati contro la base e diversi gesuiti si sono impegnati in prima persona, prendendo parte alle manifestazioni, celebrando messe presso i cantieri, fino a cercare di sabotarne l’apertura.
Da marzo alcuni di loro sono stati arrestati più volte per aver ostacolato i lavori: quasi sempre gli arresti non sono stati convalidati e in 48 ore i pacifisti, religiosi e non, sono stati rilasciati. Solo il gesuita Joseph Chong-uk Kim e un pastore protestante, Lee Jeong-hun, sono stati detenuti a lungo. Dopo l’arresto avvenuto il 9 marzo, padre Kim è stato processato e condannato a otto mesi di carcere, condanna poi sospesa, e a una multa di 100 $. Altri preti diocesani sono ancora sotto processo. Johann Do-hyun Park, un fratello gesuita, ha vissuto per cinque mesi nel villaggio, accompagnando la popolazione locale nell’opposizione alla base.
Ma non si tratta di iniziative personali: con l’inizio dei lavori, il vescovo Matthias Ri Iong-hoon, responsabile del Comitato nazionale Fede e giustizia, ha accusato il governo di usare ogni metodo manipolatorio per costruire la base che l'esecutivo considera un’importante struttura per la sicurezza nazionale. Il vescovo locale, che è anche presidente della Conferenza episcopale, accusa il governo di comportarsi come una dittatura, ignorando le opinioni locali di una regione che gode in teoria di ampie autonomie. Ma la speranza di un cambio di linea politica è tramontata con le elezioni parlamentari di aprile, che hanno lasciato all’opposizione il Partito democratico unito, contrario al progetto.
La base, secondo i piani, sarà completata nel 2015 e ospiterà ottomila persone, modificando completamente la vita del villaggio. Il sindaco, che ha già trascorso tre mesi dietro le sbarre per i continui tentativi di sabotaggio, non si piega. L’isola di Jeju è per tradizione considerata un’isola di pace. La base solleva una serie di interrogativi sui danni ambientali, le possibili ripercussioni militari in un’area complessa come il Nordest asiatico, ma anche per la memoria storica locale. Negli anni convulsi tra la seconda guerra mondiale e la guerra di Corea, quando la penisola era avamposto della guerra fredda, l’isola di Jeju fu teatro di scontri politici che causarono decine di migliaia di vittime, una strage a lungo messa a tacere.
Dopo l’ondata di arresti, i lavori sono ripresi. Il governatore dell’isola ha ottenuto l’interruzione di alcune opere più controverse, ma la Marina sta procedendo con le opere di «bonifica». Lo scorso 24 maggio, come riferisce il gesuita Francis Mun-su Park, è iniziata la posa della barriera frangiflutti, che sarà costituita da quasi novemila tonnellate di cassoni di immersione. Intanto continuano i sit-in e i raduni di preghiera e gli abitanti di Gangjeong, in una conferenza stampa del 3 giugno hanno fortemente criticato l’azione di mediazione del governatore ritenuta inconcludente, e lanciato un appello a tutta l’isola (mezzo milione di persone), nella speranza di salvare il salvabile.
Francesco Pistocchini