«Le famiglie sono disperate. Da mesi non hanno più notizie dei loro cari e vogliono sapere se sono morti». Ouejdane Mejiri, presidente dell’associazione italo-tunisina
Pontes, si fa portavoce del dolore di decine di madri e padri tunisini che nel 2011 hanno visto partire i loro figli verso l’Italia, ma poi non ne hanno saputo più nulla. Sono vivi? E se sono vivi, dove si trovano? Perché non hanno più fatto sapere nulla alle famiglie?
Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni unite, nel 2011 su centinaia di tunisini partiti, ne sono scomparsi almeno 800 (330 dei quali originari della capitale). «Qualcuno sostiene che siano molti di più - continua Mejiri -. La cifra esatta non la conosciamo e, probabilmente, non la conosceremo mai. Per molti di questi casi non ci sono prove documentali della loro partenza dal Nord Africa né del loro arrivo in Europa. Il nostro comitato invece lavora sui casi di 250 ragazzi partiti dalla Tunisia con quattro barconi a marzo dello scorso anno e che sono arrivati in Italia».
Il comitato è composto da quattro associazioni:
Pontes, il gruppo 25/11 (composto da donne italiane), Verdi (associazione di tunisini a Parma) e Tunisia libera (un comitato informale composto da italiani e tunisini a Tunisi). «Le quattro imbarcazioni di cui si occupa il comitato - spiega Mejiri – sono certamente arrivate, non sono affondate. Alcuni dei ragazzi sono stati riconosciuti in filmati degli sbarchi a Lampedusa o in altri porti messi in onda da emittenti televisive italiane. Nonostante questo si sono perse le loro tracce». Come ritrovarli? La ricerca non può essere effettuata sulla base delle generalità perché gli immigrati nordafricani spesso dichiarano nomi, cognomi e provenienza falsi. A volte dichiarano di essere eritrei o etiopi per poter godere della protezione umanitaria.
L’unico metodo valido per riconoscerli sono le impronte digitali. «In patria a ogni tunisino - prosegue Mejiri - vengono prese le impronte quando chiede la carta d’identità. E a ogni immigrato dovrebbero essere prese le impronte nel momento in cui tocca il suolo italiano. Quindi, attraverso il confronto, non dovrebbe essere difficile risalire a loro. Ma purtroppo stiamo scoprendo alcune falle nel sistema di accoglienza italiano». Pare infatti che, di fronte al massiccio afflusso degli immigrati registrato nel marzo 2011, le autorità di polizia italiane non abbiano più preso le impronte digitali. Quindi viene a mancare uno strumento fondamentale per la ricerca. I governi di Tunisi e di Roma stanno iniziando a collaborare per dare una risposta alle famiglie. È in fase di costituzione una commissione d’inchiesta per indagare sulla scomparsa dei ragazzi. «La collaborazione è un dato positivo - conclude Mejiri – se non fosse che le autorità dei due Paesi non hanno coinvolto in questa indagine nessuna associazione della società civile e, per il momento, ogni azione della commissione è gravata dal più assoluto riserbo. Ma la segretezza non aiuta di certo a lenire il dolore delle famiglie».
Enrico Casale