Argaw Ashine ora vive in Europa. Come molti giornalisti etiopi è stato
costretto a fuggire dal suo Paese dalla dura repressione del governo di
Addis Abeba sui media. Nel suo caso è stata fatale la collaborazione con
l'ambasciata statunitense ad Addis Abeba. Il suo colloquio informale
con un diplomatico è stato riportato in un cablogramma che poi è stato
messo in rete da
Wikileaks
(il blog che pubblica rapporti segreti di servizi d’informazione o
della rete diplomatica). Argaw Ashine è dovuto fuggire dall’Etiopia dopo
la pubblicazione sul sito di un dispaccio del 2009 che lo cita
nell’ambito della controversa chiusura del quotidiano
Addis Neger.
Nel cablogramma, Ashine cita una «fonte riservata» che lo avrebbe
informato dell’imminente repressione governativa contro la testata. Il
suo nome non sarebbe stato oscurato opportunamente da Wikileaks. Per
questo Ashine è stato interrogato duramente dalle autorità etiopi e
costretto a lasciare l’Etiopia. A lui abbiamo chiesto di fare il punto
sulla situazione della libertà di stampa nel suo Paese.
Perché il premier Meles Zenawi si è accanito contro la stampa? Cosa teme?Meles
ha deciso di promuovere un sistema politico molto simile a quello in
vigore nei Paesi del socialismo reale. Un sistema che non si cura dei
diritti democratici. Secondo Meles, l’opposizione politica e le
organizzazioni non governative non sono altro che un ostacolo nel
cammino verso lo sviluppo del Paese. In secondo luogo, lui e i suoi
sodali vogliono rimanere al potere il più a lungo possibile, sono
ossessionati dal potere. Così hanno iniziato ad attaccare i media e i
partiti politici di opposizione.
Meles sta trasformando il suo
esecutivo in un regime che controlla ogni settore, dai servizi segreti
militari a comparti chiave per l’economia etiope. La primavera araba è
vista come un pericolo dal governo di Addis Abeba ed è per questo motivo
che ha lanciato un’offensiva massiccia contro chi lo critica.
Oltre ai giornalisti ci sono altre categorie perseguitate?Dal
2009 sono perseguitati i responsabili delle Ong. Meles ha introdotto
una nuova legge che avrebbe dovuto riconoscere le organizzazioni
coinvolte nella difesa dei diritti umani ma, di fatto, ha limitato loro
la possibilità di ottenere fondi. Il risultato: molte di esse hanno
chiuso i battenti.
In questo contesto come opera l’opposizione politica?I
partiti di opposizione sono i più oppressi e, allo stesso tempo, sono
divisi tra loro. Alcuni oppositori non sono scappati all’estero e
continuano a contestare Meles in patria con metodi pacifici. Altri
invece sono espatriati e progettano una lotta armata per far cadere il
governo di Meles.
Cosa può fare la comunità internazionale per fermare le persecuzioni di giornalisti e oppositori?La
comunità internazionale non ferma Meles per diverse ragioni. La prima è
che l’Etiopia è una potenza regionale e ha il più grande potenziale
militare nel Corno d’Africa. Meles è quindi un prezioso alleato per i
governi occidentali nella loro «guerra al terrore» in Somalia. In
particolare, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia sostengono
il governo di Addis Abeba nonostante i record negativi in materia di
diritti umani. Il governo degli Stati Uniti recentemente ha aperto una
base aerea nell’Etiopia meridionale per gestire le operazioni dei droni
(aerei senza pilota, ndr) contro i fondamentalisti islamici.
Anche la
Cina riveste un ruolo strategico nel sostenere Meles. Pechino sta
diventando il più importante partner economico dell’Africa,
sostituendosi gradualmente alle potenze occidentali. Meles è abile nel
mettere in competizione il confronto tra governi occidentali e Cina per
riuscire a fare i propri interessi.
L’Italia intrattiene buone
relazioni economiche con l’Etiopia. Il vostro Paese è coinvolto
massicciamente nella costruzione di impianti idroelettrici sia sotto il
profilo finanziario sia sotto quello della progettazione. Di per sé
l’Italia non dona molti fondi all’Etiopia, anche se l’Unione Europea
della quale è parte è tra i maggiori finanziatori di Addis Abeba.
Enrico Casale