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Zimbabwe, la quiete prima della tempesta?
18 giugno 2013
Il 31 maggio la Corte costituzionale ha deciso che le prossime elezioni presidenziali e legislative si dovranno tenere il prossimo 31 luglio. Una data ravvicinata che ha colto di sorpresa sia lo Zanu-Pf, il partito di maggioranza, alle prese con la difficile successione del leader Robert Mugabe, sia l’Mdc, il principale partito di opposizione. Si rischia una nuova spirale di violenza simile a quella del 2008? Proprio per prevenire il degenerare del processo elettorale, oltre 200 leader religiosi cristiani, inclusi sacerdoti e Vescovi, sono stati formati e presenzieranno ai seggi. Su questa delicata fase politica, Popoli.info ha interpellato un politologo zimbabwiano.


Lo Zimbabwe ha una nuova Costituzione, ma la strada per la democrazia sembra ancora incerta. Il governo di unità nazionale formatosi dopo i brogli e le violenze delle elezioni del 2008 avrebbe dovuto, nelle intenzioni del partito maggioritario, il Movement for Democratic Change (Mdc) e dei leader del raggruppamento regionale della Comunità per lo sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc), preparare le condizioni per elezioni libere nell’arco entro due anni. Mentre alla fine di giugno il Parlamento si avvicina al termine del suo mandato quinquennale, il solo segnale di progresso è l’approvazione della Costituzione (avvenuta con un referendum che si è tenuto il 16 e il 17 marzo nel quale il 95% degli elettori ha detto sì alla bozza di riforma). Il testo però è seriamente viziato e non potrebbe essere altrimenti, visto che proviene da un procedimento viziato.
   
Per prima cosa, una commissione parlamentare (Copac) ha redatto una lista di quesiti che dovevano essere sottoposti al giudizio dell’elettorato. Le consultazioni sono però state interrotte da membri dello Zanu-Pf (Zimbabwe African National Union - Patriotic Front, il partito del presidente Robert Mugabe). In molte località è stato impossibile tenere comizi. Ma anche dove i comizi ci sono stati, si è trattato di iniziative che si sono svolte in modo frettoloso nel timore che i teppisti dello Zanu-Pf potessero attaccare in ogni momento. Ma anche così i risultati della consultazione non hanno accontentato lo Zanu-Pf, i cui leader hanno cercato di imporre la propria bozza di Costituzione alla commissione. Quando questo tentativo è fallito, hanno insistito per trattative nelle quali i rappresentanti del partito del presidente hanno lottato su ogni clausola al fine di dare una forma diversa alla bozza.
   
Tutto questo ha ritardato il processo. Quando la bozza alla fine è andata in stampa, lo Zanu-Pf stava ancora discutendo di cambiamenti che avrebbero dovuto mantenere il suo controllo sul potere. Copie della bozza finale sono state pubblicate solo tre settimane prima del referendum che i partiti avevano concordato di tenere per approvarla. Pochissimi votanti hanno avuto il tempo di leggere il documento di 150 pagine. Ancora meno hanno potuto studiarlo seriamente prima di votarlo. La maggior parte di essi non ha visto il testo completo. Il Copac ha fatto circolare un riassunto che era tutto quello che molti hanno visto.
   
Sebbene il referendum prevedesse anche la possibilità di respingere la bozza, lo Zanu-Pf e i suoi alleati nella polizia hanno fatto grandi sforzi per costringere la gente a votare e hanno persino esagerato il numero di coloro che avevano votato. Se la reale affluenza alle urne fosse stata rivelata, il risultato del referendum avrebbe dimostrato che la consultazione mancava di legittimità: non si può cambiare una Costituzione con il solo mandato del 30% dei votanti.
   
Si teme che le elezioni presidenziali e legislative, previste per il 31 luglio, possano essere tenute con la stessa fretta e sotto le stesse minacce di violenza da parte delle milizie dello Zanu-Pf, della polizia e dell’esercito, i cui capi hanno dichiarato che non accetteranno un altro presidente che non sia Mugabe. Quando si era formato il governo di unità nazionale era stata siglata un’intesa  che prevedeva che i capi delle forze di sicurezza politicamente allineati dovevano essere sostituiti, che l’Ufficio dell’anagrafe e la Commissione elettorale dello Zimbabwe dovevano essere riformati, che doveva essere stesa una nuova lista elettorale da un organismo indipendente (la metà dei sei milioni di nomi sulla lista elettorale esistente era di persone decedute, mentre più di un milione di votanti era stato privato della cittadinanza ed espunto dalla lista elettorale) e che il monopolio dello Zanu-Pf sui mass media doveva cessare. Il monopolio è stato solo attenuato: due quotidiani semi indipendenti hanno avuto il permesso di uscire, ma sono stati costantemente e continuamente vessati dai militanti dello Zanu-Pf, dalla polizia e dall’esercito.
   
Mugabe e i burocrati a lui legati continuano a chiedere alle Nazioni unite, al Sadc, all’Unione africana e alle autorità europee di dare loro del denaro per pagare le elezioni, ma non consentono che vengano inviati osservatori per monitorare le elezioni.
   
Il 31 maggio la Corte Costituzionale nominata da Mugabe ha stabilito che le elezioni presidenziali dovranno essere tenute entro il 31 luglio. Il giudice Rita Makarau, nuovo capo della Commissione elettorale, peraltro non riformata, sostiene che non è possibile. I partiti, persino lo Zanu-Pf, non sono pronti, ma i capi delle forze di sicurezza stanno spingendo per le elezioni anticipate per bloccare le riforme che potrebbero togliere loro il potere. Essi controllano ancora le forze armate e i mezzi di informazione e la loro influenza sul potere giudiziario è forte, benché non eccessiva. I nuovi giornali privati sono di bassa qualità se confrontati con il Daily News prima che fosse chiuso dalle autorità nel 2003. Poiché questo è rimasto uno Stato di polizia dalla ribellione di Ian Smith contro la Gran Bretagna nel 1965 e in una condizione di emergenza per 25 di questi 48 anni, alcuni dubitano che i burocrati (soprattutto i responsabili delle forze armate, dei servizi segreti e della polizia) possano essere rimossi. Il loro potere è cresciuto non appena Mugabe ha fatto affidamento sul loro aiuto per controllare le fazioni tribali rivali dello Zanu-Pf. Nel 1980, al momento dell’indipendenza, chi aveva sostenuto la lotta contro il regime bianco di Ian Smith avevano pensato che fosse una buona cosa che Mugabe non appartenesse a nessuna delle principali fazioni in lotta. Invece ha governato mettendo una fazione contro l’altra e ha indebolito le strutture dello Zanu-Pf. Ha portato un numero crescente di militari, alcuni dei quali ufficialmente in pensione, alle posizioni chiave del partito e nelle aziende parastatali, indebolendo ulteriormente ogni processo democratico all’interno del partito.
   
Lo Zanu-Pf si sta indebolendo, è diviso più che mai e sta mantenendo Mugabe al timone perché non è in grado di decidere chi gli succederà. Ciò potrebbe favorire sia l’apparato militare-poliziesco sia i partiti democratici, soprattutto l’Mdc di Tsvangirai.
   
Il mondo, Africa compresa, non accoglierebbe bene un’altra dittatura militare pura e semplice. Nessuno sa cosa potrebbe fare il Sadc se i militari dello Zimbabwe sfidassero apertamente la comunità internazionale, ma potrebbe entrare in vigore un blocco del Paese che, non avendo sbocchi sul mare, per gli approvvigionamenti dipende completamente dalle nazioni confinanti. I militari potrebbero credere che la Cina li sosterrebbe ma questo è improbabile se ciò significasse che la Cina deve scegliere tra lo Zimbabwe e il resto dell’Africa.
   
Esistono segnali di qualche disaccordo tra gli ufficiali e ranghi delle forze armate. I comandanti delle forze armate e della polizia hanno tentato di contrastare questa minaccia reclutando molti giovani, probabilmente dalle milizie del partito Zanu-Pf.
   
Nei prossimi mesi potrebbe succedere di tutto, persino una guerra tra le fazioni militari dello Zanu-Pf per decidere chi succederà a Mugabe. Lo Zanu-Pf ha introdotto una disposizione costituzionale provvisoria che prevede che se il presidente muore nel suo ufficio o va in pensione, spetta al suo partito nominare il successore. Questo si è reso necessario perché non si è trovato un accordo su chi nominare come vice-presidente con diritto alla successione. Le due principali fazioni hanno un forte supporto militare: una è comandata dal ministro della Difesa, Emerson Manangagwa, che non ha mai vinto una elezione ma è sempre stato il punto di riferimento del potere militare e della sicurezza; l’altra era comandata dall’ex-comandante dell’esercito, Salomon Mujuru (conosciuto durante la guerra come Rex Nhongo) sino al suo assassinio da parte di sconosciuti lo scorso anno; ora è comandata dalla sua vedova, che detiene essa stessa una formidabile presa sull’apparato militare. Il piano dello Zanu-Pf è di predisporre la rielezione di Mugabe ricorrendo alla violenza solo in casi estremi. Poi, si suppone, egli darà le dimissioni entro un anno. Se questo è il piano di uno e di entrambi i suoi aspiranti successori, sarebbe difficile per lui rifiutarsi di metterlo in atto. Sia che dia le dimissioni sia che muoia, il passo successivo sarebbe lo stesso: è il partito a scegliere il successore.
   
I membri dello Zanu-Pf sono orgogliosi del fatto che il loro partito si sia forgiato nel corso della guerra di indipendenza. In realtà quella dello Zanu-Pf è la storia di una formazione violenta che ha fatto della violenza il suo modo di azione. Non stupirebbe quindi il fatto che un conflitto potesse scatenarsi a breve all’interno della stessa organizzazione.
   
Lo Zanu-Pf sa di non poter vincere elezioni libere e imparziali. Sa quindi che deve far sì che la tornata elettorale non sia ulteriormente ritardata. Se così fosse infatti la Sadc, l’Unione africana, le Nazioni Uniti o le maggiori potenze dovrebbero esercitare pressioni per una riforma del settore della sicurezza (che includa la rimozione dell’attuale leadership dell’esercito e della polizia), potrebbero imporre che gli spazi radiotelevisivi siano liberi, potrebbero pretendere un monitoraggio internazionale efficace e credibile dell’intero processo elettorale dall’inizio della campagna sino all’insediamento di un nuovo governo. La vittoria quindi si allontanerebbe per l’attuale classe dirigente.
   
Proprio per questo motivo non è il momento di allentare le sanzioni imposte dalla comunità internazionale alle più alte personalità dello Zanu-Pf. Le sanzioni potrebbero servire comunque per acuire le divisioni all’interno del partito e per dissuadere la Cina dall’impossessarsi di tutti i diamanti dello Zimbabwe scoperti di recente e controllati dall’esercito. Ci sono voci secondo cui gli aspiranti successori di Mugabe starebbero cercando sostegno dell’Occidente nei loro tentativi di andare al potere. Ciò potrebbe garantire una certa quantità di diamanti al mercato occidentale ma non aiuterebbe il popolo dello Zimbabwe.
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