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Sapori&Saperi
Anna Casella
Antropologa
Caterina e gli animali
La sensibilità animalista è un segno importante di civiltà: riuscire a stabilire relazioni più attente e responsabili, più affettuose, nei confronti delle altre specie che condividono con noi la vita sulla terra è un punto di svolta importante nella storia dell'uomo. Anche perché il rapporto con gli animali non è mai stato semplice, al contrario, è sempre stato ambiguo e troppo sbilanciato sulle ragioni «umane».

Per il cacciatore l'animale è l'oggetto del desiderio, della ammirazione e della sfida, ma diventa, alla fine, la vittima sulla quale egli impone il suo potere e la sua forza. E non è meno ambiguo il contadino che toglie all'animale la sua libertà, lo addomestica costringendolo entro il suo recinto. L'animale asservito (mucca o gallina, o cane o pecora o cavallo) diventa strumento di lavoro, oltre che alimento. Possiamo certo dire che l'economia agricola si è costruita sul rapporto di sudditanza degli animali con l'uomo. Non solo, però. Perché gli animali vivono in simbiosi con gli umani: allevati perché possano fornire latte, uova, carne, pelliccia, o addomesticati perché siano di aiuto - il cane che difende la fattoria, il cane pastore che rincorre il gregge - devono la loro sopravvivenza alle cure dell'uomo. Si esprime, perciò, una relazione bilaterale.

La riflessione animalista è dunque un grande passo avanti sopratutto perché aiuta a correggere la visione antagonista del cacciatore e quella utilitarista del contadino e dell'allevatore. Alla fine, come ci ha ricordato San Francesco, gli animali sono i nostri fratelli minori, con noi vivono, come noi si ammalano e muoiono. Spesso condividono i nostri spazi domestici, offrono la loro amicizia senza chiedere nulla in cambio. Il grande tesoro della mentalità animalista, con le sue riflessioni sulla sofferenza inflitta agli animali, sulla necessità di garantire loro il benessere, sulla messa in questione dell'antropocentrismo, sta proprio nella consapevolezza che non siamo soli al mondo e che è necessario impostare un rapporto più giusto e più compassionevole (M. Brescianini, I fondamenti ontologici ed etici dell'animalismo, Tesi di Laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore, a.a. 2011-2012, Brescia). Eppure, se si vogliono evitare derive fondamentaliste, occorre impostare alcune questione in forma problematica.

Molte sono ancora le popolazioni
che vivono del rapporto con gli animali, dai quali ricavano tutto ciò che serve alla vita: i lapponi dell'Europa artica, i karimojon ugandesi, gli allevatori argentini o caucasici, tra gli altri. Possiamo certo pensare che la dieta carnea debba diventare un retaggio del passato. Ciò, probabilmente, potrà avvenire abbastanza presto nel nostro mondo ricco nel quale l'industria alimentare (anche quella biologica) rende accessibili cibi alternativi. Ma non avverrà, invece, in altre realtà, specie quelle più povere dove l'animale cacciato o allevato rimane ancora la fonte più importante di cibo. È possibile dimenticare queste situazioni pretendendo di universalizzare le pratiche di difesa animalista o non si dovrebbe riconoscere che, a diversità di contesti, corrispondono comportamenti diversi e tuttavia legittimi?

La seconda questione riguarda il rapporto con gli animali «selvatici», che non sono stati addomesticati né potranno mai esserlo. L'orso delle Dolomiti, affascinante per l'immaginario turistico, è una minaccia reale per il contadino, come il cinghiale che infesta i boschi dell'Italia centrale, il leone o l'elefante africano, il bufalo asiatico. Ormai, almeno in Occidente, solo i cacciatori riescono a reggere il confronto con l'animale selvaggio, perché lo hanno studiato, spiato, ne sono stati battuti o lo hanno abbattuto. Per la maggior parte di noi, avvezzi alla mentalità urbana, l'animale è la presenza domestica ed è facile pensarlo in maniera antropomorfa. Ci si domanda se un certo animalismo non sia costruito su una visione alquanto distorta dell'animale considerato completamente manipolabile: una forma di allevamento - addestramento la cui logica non potrà mai essere estesa a tutto il mondo animale. Secondo la Genesi, la creazione degli animali  è all'insegna della differenza: l'animale resta «altro», la sua vita si svolge con regole che non saranno mai le nostre, alcune specie animali sono (e restano) antagoniste all'uomo e a questo contendono spazio e risorse. La convivenza uomo-ambiente non dovrà, dunque, comprendere anche questa complessità?

Di recente un caso di cronaca ci ha obbligato a riflettere su una terza questione: quella della sperimentazione medica sugli animali. Caterina Simonsen ha dichiarato che può sopravvivere solo grazie a questo tipo di ricerca medica e le sue affermazioni hanno suscitato reazioni molto polemiche. La questione, in realtà, è ben più ampia perché non si tratta solo delle sperimentazioni: una certa parte dei medicinali che sono utilizzati normalmente (ad esempio l'eparina o l'insulina) derivano dagli animali. Secondo il World Healt Organization, tra i 252 principi attivi essenziali l'8,7% arriva dagli animali e ciò alimenta un commercio mondiale che ammonta a miliardi di dollari. C'è da augurarsi che in futuro non sia così, ma oggi è ciò che accade. Non è forse giusto, in questo caso, pensare ad una gerarchia di valori e individuare nella difesa di una vita umana il valore più importante da salvaguardare?

La relazione con gli animali rimane dunque, complessa e contraddittoria. Se è vero che si può, da subito, migliorare la condizione di quelli ridotti in schiavitù dalla industria alimentare, diverso  è il caso della ricerca scientifica, come è diverso il caso degli animali che non si lasciano addomesticare e nei confronti dei quali può sussistere (ancora) la necessità di difendersi. Come scriveva tempo fa Lévi-Strauss, gli animali sono “buoni da pensare”: ad esempio ci aiutano a riflettere sul nostro e sul loro posto nel mondo e su principi etici di convivenza. Anche Caterina, che ha sollevato con coraggio un argomento importante, ci aiuta a riflettere, ricordandoci  come si debba riconoscenza agli animali perché, spesso. è il loro sacrificio a permetterci di vivere. 
Anna Casella Paltrinieri
02/01/2014