Non c’è Marocco senza couscous, ma sarebbe meglio dire che non c’è Mediterraneo senza couscous. Se c’è un piatto che lega le opposte sponde del Mare Nostrum questo è proprio il couscous che è di casa in Africa come in Sicilia, in Palestina e in Israele, in Spagna e in Francia. Così comune che gli arabi lo chiamano semplicemente ta´am, il cibo. Sarà perché, come per altri piatti della cucina povera, basta avere semola macinata e aggiungervi ciò che in quel momento offre la dispensa, che sia carne, verdure o pesce, ma anche mandorle, cannella e zucchero che lo faranno diventare un dessert, il seffa della cucina marocchina, servito a fine pasto. Cibo miracoloso, come racconta Abu ‘Abdu allah al-Maqqari per il quale è lo stesso Profeta a suggerire a un malato di mangiare couscous per ritrovare la salute (M. A. Samrakandi, Manger au Maghreb, Presse universitaire du Mirail, n. 59, 2008, p. 23).
Nonostante l’aria dimessa il couscous ha una lunga storia. Già dal XIII secolo trova testimonianza in un ricettario andaluso e poi nelle note di Ibn Battuta, il viaggiatore dell’islam al quale, mentre ammirava in Mali «l’assiduità del suo popolo nella preghiera, la perseveranza nel compierla in comunità», fu offerto del couscous di miglio. Frutto del genio dei berberi che lo chiamavano kskso o kuski (ma c’è chi invece pensa all’Etiopia), il couscous viaggia in Siria e in tutto l’Occidente islamico. Dunque dal Maghreb all’Africa nera, dove il couscous, fatto con la farina di cassava, diventa l’attiéké della Costa d’Avorio e il wassa wassa del Togo dove si usa l’igname, per tornare ai songhai e ai bambara del Mali che lo chiamano kuskusu. Prende poi la via dell’Europa passando per la Sardegna fino alla Provenza e alla Bretagna, tanto che si parla di una vera «via mediterranea del couscous».
Una presenza ben radicata in Europa, stando al ricettario del 1570 del cuoco bolognese Bartolomeo Scappi nel quale compare la ricetta «per fare una vivanda di semolella con diverse altre materie alla moresca, chiamata succussu» e la descrizione della cottura a vapore nella speciale pentola, la cuscussiera. Qualche decennio prima il Gargantua di Francois Rabelais si cibava di polli, piccioni, fenicotteri, verdure e, appunto, coscosson (detto anche coscoton). Un cibo antico e ci si fa tutti un po’ parenti.
La ricetta ZUPPA PICCANTE DI PESCI CON CECI
Scaldare un cucchiaio di olio d’oliva in una padella, aggiungere una cipolla tritata e cuocere a fuoco lento finché non sia imbiondita. Unire un cucchiaino di coriandolo macinato, uno di cumino, uno di pimenta, un peperoncino verde tritato fine e continuare la cottura. Incorporare, mescolando, 400 g di polpa di pomodoro, un litro di brodo di pesce e portare ad ebollizione, poi abbassare la fiamma e far cuocere per 15 minuti. Aggiungere 500 g di pesce bianco come scorfano, carpa o branzino a pezzi grossi e proseguire la cottura. Togliere la zuppa dal fuoco e aggiungervi 50 g di couscous mescolando bene. Servire con un cucchiaio di prezzemolo fresco tritato e di menta tritata.
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