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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Cristiani non si nasce. Si diventa

«Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani» (leggi Atti 11,19-30)

All’inizio gli apostoli si rivolgevano a giudei e proseliti di Gerusalemme.
Più tardi alcuni ellenisti (ebrei emigrati), diventati cristiani, portano il Vangelo in Giudea e in Samaria. Ben presto la persecuzione li «dissemina» in Fenicia, Cipro e Antiochia. Ma annunciano sempre e solo a correligionari o simpatizzanti. Finalmente da Cipro e Cirene giungono ad Antiochia alcuni ellenisti cristiani che si rivolgono direttamente ai pagani. Qui, per la prima volta, i credenti in Gesù ricevono il nome di «cristiani». È una svolta storica, che segna la nascita anagrafica del cristianesimo. I discepoli di Gesù diventano e sono chiamati «cristiani», perché sono uguali a lui, che aprì a tutti la porta del Regno. Grazie a loro il giudeo Gesù diventa davvero il Cristo di tutti, «luce dei pagani» (Lc 2,32) e «salvatore del mondo» (Gv 4,42).

Siamo verso l’anno 37. Se fu veloce il diffondersi del cristianesimo, fu lenta l’evoluzione che lo portò a proporsi a tutti nel rispetto della diversità di ciascuno. Ciò avverrà, con molte resistenze, verso l’anno 48 nel «Concilio» di Gerusalemme. In realtà si tratta di un cammino continuo. Quando si arresta, la Chiesa diventa una setta che tradisce il suo fondatore. Chi esclude un solo uomo, esclude il Figlio dell’uomo. Disprezza Dio che già «è tutto in tutti» e aspetta solo chi lo riconosca. Cristiano diventa chi lo vede e ama in ogni persona.

Il progetto del Padre è che ogni popolo possa dire di Sion: «Sono in te tutte le mie sorgenti!» (Sal 87,7). Tutti siamo «uno» in Cristo: «Non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio e femmina, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Il cristianesimo non è una religione con cultura, leggi o riti propri. È un «conoscere e credere all’amore che Dio ha per noi» (1Gv 4,16), perché possiamo amare come siamo amati. Infatti «pieno compimento della legge è l’amore» (Rm 13, 8-10).

Nel nostro mondo globalizzato torna di attualità il De pace fidei di Nicola Cusano. Tutte le religioni devono andare d’accordo, rispettando le loro diversità. Per nessun motivo si può ammazzare in nome di dio. Questo dio è un idolo diabolico. Ciò che si fa all’uomo, lo si fa a Dio. C’è infatti «un solo Dio, Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6) e fa a ciascuno doni diversi (Ef 4,7). Tutti abbiamo doni e limiti. Invece di farne mezzi di aggressione o difesa, diventino luoghi di reciproco dare e ricevere. Siamo figli di Dio se diventiamo fratelli di tutti (1Cor 12,1-13,13). Formiamo un unico corpo con un solo Spirito (Ef 4,1ss) quando accettiamo ogni altro come fratello, anzi come nostro Dio e Signore.

Ciò che divide, anche se pare giusto, non proviene da Dio, bensì da satana. Basta con la religione che offende l’uomo per difendere dio! Che dio è quello che necessita di difesa? Religione vera è accogliere ognuno in nome del Padre di tutti. Questo ha insegnato il Figlio. E per questo fu ed è ucciso in nome di quel dio che ognuno, cristiano o no, vuol difendere come sua proprietà privata.

Luca è ben informato sulla diffusione del cristianesimo di Antiochia: ha esposto con cura come furono superati gli ostacoli per portare la promessa a ogni uomo. Ci ha narrato il modo, per noi normativo, di inculturare la fede nella storia. È troppo facile, con zelo fanatico, ostacolare la corsa del Vangelo e «impedire» l’azione di Dio.

Siamo tutti figli di Abramo. Lo siamo anche senza quella differenza, la circoncisione, che è segno dell’alleanza. L’amore del Padre e dei fratelli è la vera circoncisione del cuore. Questa ci permette di fare comunione non nell’omogeneità, mangiando gli altri, ma nell’eterogeneità, accogliendo i diversi da noi.


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© FCSF – Popoli, febbraio 2014