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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Il primo Concilio -

«Gioirono per la consolazione» (leggi Atti 15,1-35)

Il Concilio di Gerusalemme cerca di rendere possibile la commensalità tra persone di culture diverse. Non condanna nessuno. Allo stesso modo del Vaticano II, intende «aggiornare» tutti alle nuove esigenze di una comunità aperta al mondo. Come allora, Dio agisce anche qui e ora. Essendo vita e amore, egli è l’eterno effimero, nuovo ogni giorno. Chi teme la novità, ha paura dei passi di Colui che accompagna ogni nostro cammino, anche di fuga (cfr Gen 3,10). La realtà, soprattutto se non rientra nei nostri progetti, non è problema da risolvere. È Parola da leggere con cura: manifesta Dio e salva l’uomo.
La Chiesa è un corpo sempre in mutamento: cresce e crescerà sino alla sua «statura piena» (cfr Ef 4,14). Ma una nuova identità mette in crisi quella vecchia. Nel concilio di Gerusalemme la Chiesa antica ci indica la via per risolvere gli inevitabili conflitti.

Nel confronto tra progressisti e tradizionalisti è in gioco l’essenza del cristianesimo: la salvezza viene dalla fede, non dalle leggi tradizionali. La fede si adatta a tutte le culture, come l’acqua ad ogni recipiente. L’importante è che nessuno sia escluso dalla vita. È facile, in nome del tradizionalismo, impedire la trasmissione della fede a tutti. Questo vale anche per noi. Infatti la distanza tra Chiesa e mondo d’oggi è maggiore di quella tra Giudei e pagani di allora.
Vediamo come i nostri padri nella fede vissero il conflitto delle novità.

Alcuni giudeo-cristiani vanno da Gerusalemme ad Antiochia per accusare i cristiani ex-pagani
di non rispettare le loro tradizioni. I nuovi cristiani insorgono. E giustamente. Dio, se ha parlato nei tempi antichi, continua a parlare anche nel presente. Paolo è sicuro che il Vangelo è unico (Gal 1,1ss), antico e sempre nuovo. La porta della salvezza è una sola: la grazia della fede in Gesù. Essa apre a tutti la promessa fatta ad Abramo, anche se ognuno vi accede per la sua via.

La comunità nuova non rompe con l’antica. Per non perdere il bene dell’unità, invia Paolo e Barnaba a Gerusalemme. A Gerusalemme Pietro difende Paolo. Non fa argomentazioni teoriche. Racconta la propria esperienza: Dio ha dato lo Spirito al pagano Cornelio come a loro (cfr At 10,1ss). Eppure anche lui si era opposto ostinatamente all’opera di Dio in nome di tradizioni non negoziabili, quasi bimillenarie o più che millenarie, quali la circoncisione e la legge di Mosè. Giacomo è d’accordo con Pietro e trova che questa novità è già prevista nella Sacra Scrittura (cfr At 15,13-22).

Si risolve il problema senza condanne. Il Vangelo è per tutti.
Bisogna accogliere la novità ma anche avere misericordia di chi fatica ad accettarla. Per questo si cercano regole minimali che permettano di stare insieme. Tutti gioiscono e sono consolati: nessuno è escluso e ogni diversità è rispettata.
I «tradizionalisti» però sono chiamati «setta» (= siepe). In greco c’è la parola «airesis» (= scelta), da cui «eresia» (cfr At 15,5). Infatti «scelgono» il passato e ricusano il presente. Per questo rifiutano «la cosa nuova che Dio fa» (Is 43,19). Anzi, non accettano Dio stesso, Padre di tutti, che è sempre e solo presente in tutti. I tradizionalisti non sanno di essere «eretici» e «settari». I «novatori»  invece sono cattolici e cristiani, se però aiutano i tradizionalisti a crescere nella loro debole fede.

L’aggiornamento - parola divina che ci ritma sul passo di Dio nella storia della salvezza - deve essere continuo, soprattutto oggi, per aprire le porte della fede al mondo postmoderno. Diversamente tradiamo la tradizione del Vangelo. Paolo ci rimprovererebbe come fece con i Galati: «Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate a un altro Vangelo. In realtà però non ce n’è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo» (Gal 1,6s).

Silvano Fausti SJ

 

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© FCSF – Popoli, 21 maggio 2014