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La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Siria, se l'Onu si muove (e Israele rema contro)
14 aprile 2012

Se le decisioni del Consiglio di Sicurezza fornissero sempre una base certa per la pace, il conflitto israeliano-arabo sarebbe risolto da decenni… Eppure non si può che accogliere con speranza e prudente soddisfazione l’approvazione, oggi, del piano Annan, implicante l’invio di osservatori Onu, da parte della comunità internazionale.
Il giorno di Pasqua, il Papa ha dedicato alla Siria quattro righe coraggiose del suo messaggio urbi et orbi, appoggiando proprio l’impegno dell’ex segretario generale dell’Onu. È probabile che si trattasse della cima d’un iceberg diplomatico oltre che spirituale. Immagino che la Santa Sede abbia infine attivato il canale di collegamento con il Patriarcato di Mosca per promuovere un’evoluzione della posizione russa. Infatti, i cristiani siriani sono in maggioranza arabi di rito bizantino ortodosso, tradizionalmente protetti dalla Russia, fin dall’epoca dell’impero ottomano. La Siria resterà, se in definitiva saprà ricucire la propria unità, un Paese «non allineato» e connesso con gli interessi strategici dell’ex Unione Sovietica. Tuttavia è da notare una certa ripresa della dinamica pan-araba (cfr il recente vertice della Lega Araba a Baghdad) che potrebbe sul lungo periodo correggere anche la suddivisione sciita-sunnita e pro o contro l’Iran.
Occorre salutare questa decisione Onu che va controcorrente rispetto a quanto avvenuto nei mesi scorsi, dove la Siria è diventata lo spazio di tutti i conflitti regionali. Ci auguriamo che si trovi il modo di rinunciare definitivamente alle immorali e controproducenti sanzioni economiche non mirate e a tappeto con le quali si affama il popolo che si vorrebbe difendere. È incredibile che, dopo l’Iraq, si continui a insistere con azioni punitive di massa, tanto più ingiuste quando si tratta di popoli privi delle libertà democratiche e ansiosi di ottenerle.

L’IPOTESI FEDERALE
Personalmente, ho a lungo invocato la democrazia consensuale, chiedendo il rispetto delle «specificità geografiche» e del pluralismo dinamico d’una società mosaico come quella siriana, rimanendo saldo nella prospettiva della lotta non violenta per la democrazia e i diritti - anche quelli, vivaddio, della maggioranza sunnita - e invitando testardamente alla riconciliazione. Ora vedo opportuno proporre la prospettiva federale, come la sola in grado di salvare l’unità e il ruolo del Paese, facilitando la ricomposizione nazionale. Dico questo senza timidezza e correndo il rischio d’essere tacciato di disfattismo nazionale da entrambi gli schieramenti che vogliono ottenere o mantenere tutto a qualunque costo!
Certo, la specificità curda a Nord-Est è condizionata dalle posizioni dei vicini turchi e iracheni, e non potrà esprimersi senza garantire i cristiani, siriaci e assiri, e gli arabi tribali che con i kurdi convivono.
Sicuramente, l’antico sogno dei montanari alawiti, d’una patria dall’Oronte al mare, può coniugarsi con il desiderio russo di mantenere basi stabili nel Mediterraneo, con quello iraniano di non perdere un alleato strategico, e con il riflesso identitario auto protettivo dei valligiani cristiani.
Ovviamente, il riconoscimento della comunità drusa, nel Sud e sul Golan, non dovrà approdare alla creazione d’un cantone cuscinetto che separerebbe definitivamente la Siria dai territori occupati da Israele, i quali hanno anche naturale vocazione a fornire acqua alla capitale assetata. Il rischio è che Israele voglia invece collegare un cantone druso siriano con quello già esistente in Libano e con la presenza drusa in Galilea (i drusi fanno il servizio militare nelle forze armate dello Stato ebraico). Conforta il fatto che, lungo tutti questi anni di conflitto, l’attaccamento all’identità nazionale araba dei drusi siriani, al di qua e al di là della linea del cessate il fuoco sul Golan, non è mai venuto meno.
Sono convinto che una prospettiva federale moderata e dinamica può medicare le fobie di molti e riproporre quell’unità culturale nazionale che ho sempre apprezzato e nella quale credo. La Siria era di fatto un cestino di staterelli all’epoca dell’Impero ottomano; poi, già monca, è stata confrontata alla sfida colonialista della modernità francese tra le due guerre mondiali; e si è costituita in seguito come stato centralizzato e ben presto militarizzato sotto l’egida del partito social-nazionalista Baath. La crisi dell’ideologia ha manifestato, specie a partire dagli anni Novanta, una debolezza della centralizzazione in quanto ridotta a concentrazione d’interessi clientelari bloccati attorno alla famiglia al potere. Una Siria federale sarebbe il contrario d’una Siria divisa. Solo l’accoglienza rispettosa e realista delle particolarità permette di riscegliere democraticamente la compattezza dei valori nazionali. Questo non esclude affatto che la forma tipica della società siriana sia quella della convivenza nel buon vicinato di famiglie e comunità di diverse tradizioni religiose ed etniche. Penso anche che la mentalità federale possa offrire il quadro d’una ricostruzione dell’armonia araba e, in prospettiva, regionale, includendo le entità ebraica e palestinese, sul modello dell’unione ipostatica calcedoniana (unione senza confusione, distinzione senza separazione).
Certamente il proseguimento della guerra civile siriana in corso, che questi chiamano insurrezione e quelli complotto terroristico, non può che approdare alla divisione del Paese e alla sua stabile balcanizzazione. Inoltre, come la stampa internazionale ha recentemente sottolineato, le atrocità di questa guerra sono perpetrate da entrambe i campi. Questo non meraviglia, ma ugualmente non giustifica le azioni contro la dignità umana che devono essere sempre stigmatizzate, perseguite e punite nelle sedi legali appropriate. Lo scadimento culturale scoraggiante in corso è illustrato pure dal gran numero di rapaci attentati al tesoro archeologico nazionale. Ci attacchiamo dunque alla speranza Annan - che ciascuno cercherà di tirare al suo mulino - per evitare il peggio, peraltro già avviato.

IL NODO ISRAELIANO
Vengo ora alla parte più delicata della mia presa di posizione. Si sa che ogni volta che si toccano gli interessi dello Stato d’Israele si rischia di finire nel mirino di pericolosi cecchini mediatici. Questo mi è già capitato con il violento attacco verbale dell’ex ambasciatore israeliano Minerbi che m’ha dato dell’antisemita e attribuito ogni genere d’odio antiebraico (Sergio Itzhak Minerbi, Risposta a Padre Dall’Oglio, in AA.VV., Diamon Annuario di Diritto Comparato delle Religioni, n. 10, 2010-2011, Il pluralismo nei diritti religiosi, pp 271-282, Il Mulino, Bologna 2011. Segnalo che nella stessa pubblicazione c’è anche un mio intervento sulla Primavera araba). Non è solo un’impressione, ma si tratta invece d’una considerazione basata su fatti ostinati, che Israele, specie attraverso l’azione dei suoi servizi segreti e l’opera delle lobby ebraiche internazionali e specialmente americane, abbia sistematicamente agito per ridisegnare il Medio Oriente su base confessionale, promuovendo dal balcone i conflitti civili giù in strada e specialmente quello sanguinoso sunnita-sciita (conflitto Iran-Iraq, e più in generale, oggi, Iran-Stati arabi sunniti del Golfo; guerra civile irachena durante l’occupazione degli Usa e dei suoi alleati; conflitto libanese; conflitto civile siriano; tensioni comunitarie nel Golfo, in Arabia Saudita e in Yemen… oltre al conflitto tutto sunnita-sunnita tra Hamas e Fatah, con partecipazione appassionata però dell’Iran e di Hezbollah…).
È inverosimile, ma reale e constatabile, che gli sciiti considerano Israele come alleato dei sunniti contro di loro e che i sunniti ritengono che Israele sia il più grande alleato degli sciiti… nonostante minacci di bombardare le basi nucleari iraniane.
Il paradosso è al colmo quando si nota la diffusione del più assurdo negazionismo, espresso da demenziali affermazioni pseudoscientifiche, tanto sciite che sunnite, nei confronti della realtà ebraica: la Shoa innanzitutto, ma anche quanto è relativo al radicamento ebraico in Terra di Canaan, fino alla negazione di qualunque base storica e archeologica alla presenza ebraica a Gerusalemme. Intanto, l’odio «neo-antisemita» (nuovo, appunto, e d’importazione in contesto musulmano tradizionale e cristiano orientale… a prescindere dall’antico antigiudaismo teologico) giustifica la chiusura a riccio dell’entità ebraica nella Terra Santa atomica, e consente di assolvere qualunque politica anti araba, fino a comportamenti discriminatori di natura para-razziale. E poi, mentre la comunità internazionale si occupa di Siria e di nucleare iraniano, le colonizzazioni sioniste avanzano in Cisgiordania senza freni.
C’è una infelice congiunzione tra l’interesse sionista a dividere per imperare con una incapacità cronica a convivere delle diverse denominazioni musulmane. Di qui la vocazione di alcuni a lavorare ad un ecumenismo a tutto raggio.
Le prese di posizione americane in favore della democrazia in Siria sono diventate platoniche e un po’ patetiche nell’anno preelettorale, dove l’influenza israeliana sulla politica americana diventa imprescindibile. Obama, sotto choc per la rotta davanti ai talibani, è in imbarazzo tra la promessa di riconoscere il diritto alla democrazia degli arabi e dei musulmani e la difficoltà d’una larga parte dell’amministrazione americana d’accettare le conseguenze di questa posizione. Anche la Francia, agli sgoccioli dell’appuntamento delle presidenziali, mette acqua nel suo vino rivoluzionario. L’altalena delle posizioni turche dimostra il braccio di ferro regionale in corso e certo non aiuta…  

STRANE CONVERGENZE
Un variegato settore dei media europei si schiera con la conservazione del potere di Damasco, adottandone acriticamente le interpretazioni dei fatti violenti in corso e considerandolo l’unico antidoto all’estremismo sunnita terrorista. Si è creato un sorprendente e melmoso coagulo formato da schegge complottiste e negazioniste «post-fasciste» e «anti imperialiste» europee.  Il nome che ricorre più sovente in proposito è quello del “Réseau Voltaire” attivo in Francia, Belgio, Svizzera e Germania e forse altrove. Formano inoltre questo coagulo diverse tendenze anti islamiche del cristianesimo tradizionalista, sia in Oriente che in Occidente, e, guarda un po’, varie connessioni israeliane.
È stato irretito anche Giorgio Paolucci di Avvenire (I ribelli ci uccidono. L’esercito deve restare, Avvenire, 11 Aprile 2012 , pubblicato anche da Liberazione del 13 aprile, sic.) intervistando fantomatici (per altro facilmente rintracciati\e) «italiani in Siria» che, forse senza piena avvertenza, hanno riecheggiato le tesi «antiterroriste» del potere siriano e degli amici del giaguaro europei. Si può condividere l’appello contro le sanzioni ma non la totale amnesia sulle ragioni del confronto in corso e la giustificazione incondizionata della dittatura e della repressione. In questo quadro è doloroso dover registrare l’attitudine succube alle tesi di regime d’importanti ecclesiastici siriani e mediorientali che pensano così di salvare il cristianesimo. Famoso internazionalmente è il caso della superiora del monastero di Qara che ha addirittura collaborato a creare i viaggi organizzati dei giornalisti «favorevoli» nel regno della repressione della libertà d’opinione… fino a quando non è morto ammazzato un famoso reporter francese che non sapeva in che guaio s’era cacciato. Per un momento anche gli amici della rivista Oasis  legata al Patriarcato di Venezia, nel gennaio scorso, erano stati sviati dall’attivismo della religiosa. Non meraviglia più che le posizioni antidemocratiche delle destre estreme risultino quasi identiche a quelle anti imperialiste delle sinistre radicali.  Si ripete per la Siria un panorama per così dire libico… dove tutte le vacche, menate da Gheddafi, sono nere.
Poco prima di Pasqua, un Vescovo cattolico siriano, di esplicite posizioni nazionaliste e anti islamiche, ha ripreso e diffuso in internet le teorie di un prete libanese, tipiche del nazionalismo pan siriano, dove si dice che Gesù è nato in Libano e non in Giudea, che sua madre adorava il Dio cananeo e non il Dio di Mosè, che Gesù è un Messia atteso dai siriani e non dagli ebrei e che non ha niente a che fare col popolo della Bibbia visto che è stato battezzato… cosa che gli ebrei non farebbero… inutile dilungarsi. Molto meglio invece proporsi di riprendere il movimento biblico, rinnovare la catechesi e ritrovare la coscienza biblica fontale della Chiesa primitiva. Anche gli Islam mediorientali dovranno ritrovare la corrente profonda che sottende al complesso simbolico coranico, non separabile dal mondo biblico ebraico e cristiano, per non correre il rischio d’una sterilizzazione spirituale irreversibile.
A onor del vero, non si può tacere che le armi entrano in Siria, nel quadro della guerra civile, sovente pagate e trasportate nell’ambito delle solidarietà sunnite jihadiste radicali, a volte parastatali (Arabia Saudita, Qatar, altrove?), che furono attive in Afganistan negli anni ’80, poi nei ’90 in Algeria, in Bosnia, in Cecenia e via «terrorizzando»… È elementare che più le legittime richieste di democrazia e autodeterminazione nella trasparenza del popolo siriano saranno umiliate, più lo spazio del jihadismo violento crescerà. L’esperienza dice che non è poi facile estirparlo e che sa autofinanziarsi e autopromuoversi. Il fatto che nella palude internazionale, delle mafie e degli interessi inconfessabili, tutte le radici delle male piante siano tra loro intrecciate e, in definitiva, almeno inconsciamente, complici, non deve meravigliare ma, si, deve mobilitare la reazione democratica globale della società civile avvenire.

SCELTA NON-VIOLENTA
La fascia d’opinione in Siria e all’estero alla quale appartengo per «natura» è quella della resistenza non-violenta al quarantennale dispotismo locale, assieme al rifiuto della violenza come metodo di cambiamento politico. La scelta non violenta non può tuttavia giustificare che si condanni sempre e dovunque il diritto all’autodifesa d’un popolo. La Chiesa riconosce tale diritto, benché sottolinei sempre, ed io con lei, quanto pericoloso ed equivoco sia evocarlo e incoraggi sistematicamente a cercare vie pacifiche e a ridurre al massimo l’uso e le conseguenze della violenza. Oggi in Siria bisogna saper distinguere, tra le diverse fazioni della resistenza, quelle che appartengono a una galassia jihadista estremista tendenzialmente terrorista e quelle che invece corrispondono alla categoria della lotta armata di liberazione per ottenere diritti e non per conculcarli. La collettività internazionale deve operare delle distinzioni chiare e agire di conseguenza.
Ritengo che vada irrobustito il ruolo di coloro che potrebbero ancora fungere da menisco nonviolento in questa ossuta crisi. Il potere siriano, a prescindere dal volto che lo rappresenta oggi, corrisponde a una larga e composita base sociale che si deve prendere sul serio. Certo questo corpo politico, essendo culturalmente pre-democratico, risulta, per così dire, antipatico all’opinione internazionale progressista …. Un po’ come i serbi nei Balcani degli anni novanta. Però questa non è una buona ragione per non prendere seriamente in considerazione una parte così consistente della società siriana. Il dialogo diventa una necessità strategica e non solo morale.
Mi preme qui rilanciare la proposta della creazione di laboratori di dialogo tra siriani all’estero, di diverse posizioni politiche, al fine di favorire quel dialogo democratico che è ancora impossibile in patria (questi laboratori sono in formazione a Ginevra, Parigi, Louvain, Milano…).  La speranza è che il dialogo intersiriano, promosso da mediatori capaci e generosi, possa elaborare concetti utili alla riforma e alla riunificazione nazionale. È incoraggiante registrare che in diversi paesi europei questa proposta sta prendendo concretamente forma.
Nei giorni scorsi alcune giovani siriane si sono distese come morte nei grandi magazzini della capitale invocando la fine della violenza. Poi una serata con le candele contro la guerra è stata violentemente repressa davanti al parlamento. Chiediamo allo Spirito di profezia di mostrarci la via per raccogliere queste coraggiose testimonianze.
Paolo Dall’Oglio SJ


© FCSF – Popoli, 1 maggio 2012