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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Una nuova Pentecoste
Tutti i potenti si riunirono contro Cristo «per compiere ciò che la mano e la volontà di Dio avevano predefinito che avvenisse» (leggi Atti 4,23-31)

Lo Spirito Santo, amore che fluisce da Dio a noi, è il respiro della nostra vita di figli. Senza di lui siamo morti. Senso della vita è la continua conversione e acquisizione dello Spirito. Sceso sui discepoli a Pentecoste, lo Spirito è sempre all’opera in tutto e in tutti: nei peccatori per convertirli, nella libertà degli apostoli per annunciare il Signore, nei miracoli per accreditare la Parola e, infine, nel prodigio della vita fraterna e filiale. Si manifesta con forza in momenti importanti, come in questo (cfr anche 10,44ss), chiamato «la piccola Pentecoste». Dopo il primo miracolo e l’arresto di Pietro e Giovanni (3,1ss), la comunità sperimenta la prima persecuzione. Appena liberati, raccontano ai fratelli come hanno confessato il nome di Gesù davanti a chi l’ha ucciso: lo Spirito li ha resi testimoni della risurrezione.
Dopo avere agito e patito come lui, colgono ora il mistero della sua passione. Non la testa, ma l’esperienza sulla propria pelle fa capire la realtà. Sai cos’è il cibo se lo mangi. La persecuzione, facendoli simili al Crocifisso, fa comprendere loro la croce di Gesù: vedono che quanto capita oggi nella loro carne, è ciò che è capitato a lui, e viceversa.
È stata lenta la comprensione del mistero pasquale. All’inizio c’è opposizione tra la morte e la risurrezione di Gesù: gli uomini l’hanno ucciso, «ma» Dio l’ha risuscitato. Dopo c’è continuità: lui è il Giusto che porta su di sé il male del mondo; e «per questo» Dio l’ha risuscitato. Infine c’è identità: la sua croce, segno d’amore più forte della morte, «è» la gloria che rivela Dio. Sul Calvario infatti è vinto il male e la sua fonte: la falsa immagine di Dio.
Qui abbiamo la chiave per leggere come Dio ci salva non «dalla», ma «nella» nostra storia così piena di male. Il male lo facciamo noi, perché schiavi di ignoranza e paure. Dio non lo vuole né lo tollera; rispetta però la nostra libertà, perché ci fa simili a lui. Ma rispetta anche la sua: assume su di sé il nostro male e lo volge al bene. Come!? Qui Dio è chiamato «despótes» (= despota), che significa «padrone di casa». L’universo è casa sua e gli uomini suoi familiari, figli del suo stesso sangue, tutti «liberi», che fanno ciò che vogliono. Anche lui però fa ciò che vuole: liberarci dal male che continuiamo a farci.
Primi agenti di male sono i potenti della terra, che, sentendosi meno della metà di niente, desiderano, come tutti noi, appagare la sete di avere, di potere e di apparire (cfr 1Gv 2,16). Vorremmo essere come Dio, facendo però il contrario di lui. Egli infatti è amore che dona tutto, si mette nelle mani di tutti e serve ciascuno. Il male dell’egoismo, che è in noi, deve uscire da noi; e Dio lo porta sulla croce.
Qui i discepoli capiscono che con la croce Dio compie la sua volontà di salvezza. Infatti si serve del massimo male che possiamo fare – uccidere Dio stesso! – per realizzare il suo disegno di amore: dona la sua vita a chi gliela ruba. Dice Giuseppe ai suoi fratelli: «Se voi avevate pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso» (Gen 50,20).
Questa comprensione diventa invocazione, discernimento e nuovo dono della Spirito, che riempie la casa. Grazie allo Spirito, il Cenacolo non è più luogo di paura e chiusura, ma di comunione e amore, che sempre si scuote per scrollare fuori i discepoli, inviandoli al mondo. Il fuoco, che brucia dentro, deve  accendere altri fuochi. La croce di Gesù è salvezza e dono dello Spirito, che si realizza oggi nei discepoli perseguitati. La persecuzione è vera maestra di teologia: ci fa come il Maestro. La Chiesa nasce sempre dal sangue dei martiri, non da giochi di potere con i potenti.

© FCSF – Popoli, 1 novembre 2012