Non solo Rosarno e Tavoliere: sono molte le facce del lavoro bracciantile semischiavistico su cui si basa l’agricoltura in Italia. Gli immigrati indiani di religione sikh presenti nell’Agro pontino, tra Latina, Fondi e il Circeo, sono oggi circa 30mila. Questa terra, divenuta fertile dopo le bonifiche degli anni Venti e Trenta, ha accolto per anni immigrati poveri da altre regioni italiane, del Nord e del Sud. Oggi molti figli di coloro che migravano per strappare le famiglie alla fame si fanno chiamare «padroni»: la produzione di ortaggi poggia ampiamente sul lavoro dei nuovi immigrati. Un giovane indiano racconta ad Andrea Polzoni delle dure condizioni di lavoro, anche oltre dodici ore al giorno per una paga che non raggiunge i 35 euro. Il lavoro nei campi, con pause rare e brevi, provoca dolori fisici che ricordano fatiche e sfruttamento che si pensavano far parte di epoche passate. Presenti dagli anni Ottanta, in origine soprattutto uomini, poi raggiunti dalle famiglie, migliaia di indiani lavorano con impegno. Raccolgono soprattutto verdure, le mettono nelle cassette, talvolta devono irrorare prodotti chimici senza le precauzioni necessarie. Ma spesso il salario viene decurtato senza spiegazioni. Un giorno di assenza per malattia può costare una settimana di paga. I braccianti non raccontano volentieri le violenze che talvolta subiscono: a Nettuno nel 2009 un indiano di 35 anni che dormiva alla stazione fu aggredito da un gruppo di giovani che cercarono di ucciderlo dandogli fuoco. Marco Omizzolo, un sociologo che per due mesi ha lavorato come bracciante a fianco dei sikh per verificare di persona le forme di sfruttamento, definisce la situazione «un sottobosco di prepotenze e di violenza». Mancanza di contratti di lavoro, contributi decurtati anche a chi il contratto ce l’ha, angherie dei caporali (talvolta indiani, immigrati da più tempo). Ma qualcosa sta cambiando: alcuni braccianti che da mesi non venivano pagati si sono ribellati, mostrando la capacità di lottare per i propri diritti.
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Andrea Polzoni |
Andrea Polzoni (Fermo, 1969) è un fotografo autodidatta che basa le proprie ricerche sul desiderio di conoscenza e comunicazione con le comunità che incontra. Ha dedicato speciale attenzione alle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati in Italia, testimoniando sofferenze di molti giovani che resistono in condizioni inumane come i braccianti in diverse regioni del Mezzogiorno. A partire dal 2010 si è occupato di disagio abitativo e di diritto all’abitare raccontando con i suoi lavori una serie di difficili situazioni di alloggio che vivono gli immigrati in varie parti d’Italia. I suoi lavori sono apparsi su diversi siti e periodici attenti a queste tematiche, tra cui Redattore Sociale, Corriere Immigrazione, frontierenews.it, Left, Foritema. |
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