Muhammad Yunus, l’economista del Bangladesh portabandiera del microcredito e premio Nobel per la Pace nel 2006, il 2 marzo è stato sollevato dall’incarico di direttore esecutivo della Grameen Bank da lui fondata nel 1983. La Banca centrale del Paese gli ha chiesto di abbandonare la carica perché secondo la legge del Bangladesh non è possibile essere rieletti dopo i 60 anni. «Singolare che se ne siano accorti dopo dieci anni, perché Yunus ne ha 70», osserva Leonardo Becchetti, docente di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata ed esperto di microfinanza.
Ma perché Yunus si è messo in conflitto con i vertici politici del suo Paese? «Le disavventure di Yunus - spiega Becchetti - sono iniziate quando egli stesso ha deciso di entrare in politica per fondare un partito e concorrere alla carica di premier. Anche se poi ha desistito, è cresciuta sensibilmente l’opposizione nei suoi confronti da parte degli avversari politici».
La Grameen Bank, specializzandosi in piccoli prestiti rivolti soprattutto ai poveri (molte donne) esclusi dai circuiti tradizionali del credito, è diventata un modello a livello internazionale. Ma l’esperienza di Yunus, anche se è la più nota e pubblicizzata, non è l’unica: altre realtà, come la Brac, proprio in Bangladesh, hanno la stessa dimensione e una storia di durata simile. «Al di là degli indubbi meriti di Yunus - osserva Becchetti - credo che l’errore in Italia, come altrove, sia quello di idolatrare la Grameen e di identificarla con il microcredito. Oggi esistono circa 3mila istituzioni di microcredito in tutti i continenti che servono più di 150 milioni di persone. La microfinanza è un intero settore che fornisce servizi finanziari (assicurazione, credito, liquidità) ai «non bancabili» in tutto il mondo. Ci sono esiti buoni ed esiti meno buoni. Giudicare il microcredito sulla base del presunto scandalo di questa o di quella organizzazione è fare come un marziano che, sbarcato in Italia, dicesse che le banche non possono funzionare perché è scoppiato un presunto scandalo in una banca italiana».
L’anno scorso, infatti, Yunus è stato anche accusato da un’agenzia per lo sviluppo norvegese, Norad, di avere dirottato un centinaio milioni di dollari di aiuti verso Grameen Kalyan, una società non impegnata nel microcredito. «Esistono organizzazioni ben gestite che lavorano nell’interesse dei clienti e altre che cercano di trarne il massimo profitto possibile praticando tassi molto elevati. Uno dei problemi principali che sconta il microcredito è proprio il suo essere “parola-mito in libertà”, ovvero un “titolo” avvolto da un’aura positiva di cui tutti si possono fregiare senza alcuna verifica dei criteri che utilizzano per concedere i prestiti. Una delle cose di cui si discute di più nel settore è proprio quella di creare sistemi di rating sociale in modo tale da aiutare a distinguere meglio i vari tipi di organizzazioni e il modo in cui esse operano».
Che cosa andrebbe criticato nella linea di Yunus? «Con il suo approccio, ha tracciato un solco importante sviluppando possibilità di accesso al credito per chi era povero e sprovvisto di garanzie patrimoniali. Se leggiamo i principi della Grameen fa una certa impressione il tono paternalista e militaresco delle prescrizioni che i clienti recitano nelle riunioni. Difficile però giudicare dalla distanza della nostra cultura se questo stile talvolta duro e sgradevole sia necessario oppure no. Yunus stesso lo ha modificato a seconda degli eventi e di quello che ha imparato lungo la strada. La responsabilità di gruppo, troppo pesante per i debitori, è stata sostituita da un sistema più leggero e meno punitivo nei confronti di chi non era in grado di restituire i propri soldi e dei compagni di gruppo».
Con la nascita di Grameen II, istituita nel 2002 con nuove metodologie, si è cercato maggiormente di rimettere in carreggiata chi non era in grado di restituire i prestiti. Nell’ultima fase Yunus ha tentato di costruire alleanze con grandi imprese profit con l’obiettivo di produrre beni di largo consumo per la popolazione (come ad esempio lo yogurt della multinazionale francese Danone). Come giudica queste iniziative? «Ho sempre ritenuto che si trattasse di un abbraccio pieno di insidie - conclude Becchetti -. Yunus ha così pensato di aver inventato l’impresa sociale, ignorando la storia e la tradizione dell’impresa sociale e cooperativa in Italia e in Europa. Mi è parso andare sopra le righe. L’abbraccio è pericoloso perché c’è il rischio che le grandi aziende transnazionali utilizzino Yunus per darsi un’immagine strumentale di realtà attente ai poveri e allo sviluppo».
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