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«In Sudan si divideranno le terre, non i popoli»
23 dicembre 2010
La tregua prevista nel 2005 dagli accordi di pace tra il Sudan People’s Liberation Movement e il governo sudanese volge al termine e il Sudan si prepara per il referendum. Il 9 gennaio la popolazione sudsudanese sarà chiamata a decidere tra unità e indipendenza. «La gente è pronta a scegliere la secessione - afferma mons. Cesare Mazzolari, comboniano, vescovo della diocesi di Rumbek, nel Sudan meridionale -. È quello che ha sempre dichiarato apertamente e dimostrato nelle occasioni pubbliche. Il Nord, purtroppo, ha bene inteso che il Sud vuol separarsi e non è affatto contento. Si dice che sarà costretto ad accettare la secessione, ma è ancora tutto da vedere. Se l’esito delle votazioni fosse per l’unità, allora il Sud entrerebbe in una situazione di choc e confusione, perché la separazione dal Nord qui è molto sentita a livello emotivo». Qualunque sia il risultato, il Sudan non sarà mai più lo stesso, perché la sua gente avrà esercitato la propria scelta libera e democratica. Ci si aspetta che le votazioni si svolgano in modo trasparente, ma resta la preoccupazione per la manipolazione dei voti, che alimenterebbe l’incertezza e l’instabilità nel Paese.

Il Sud Sudan come si sta preparando a questo evento? «Le registrazioni per il referendum non sono state numerose - spiega mons. Mazzolari -. È strano, i preparativi vanno a rilento. C’è molta paura tra i sudsudanesi residenti al Nord: ci sono state minacce e intimidazioni nei loro confronti, alti funzionari del governo hanno rilasciato dichiarazioni incendiarie e i media hanno aumentato le tensioni. Tutto ciò compromette la convivenza pacifica e molti sudsudanesi hanno deciso di lasciare il Nord, ma molti altri vi rimarranno. Tutti hanno il diritto di essere protetti».

Il Sud teme un’unità che opprime, omologa e proibisce qualsiasi forma di opposizione. Il Nord crede che la secessione possa inaugurare un nuovo tempo di violenze e di conflitti. «La secessione non significa la fine del rapporto tra Nord e Sud. È una divisione della terra, non dei popoli. Si devono raggiungere compromessi che siano reciprocamente vantaggiosi sulle questioni del petrolio, dei confini e della cittadinanza».

Il ruolo della Chiesa locale in un momento così delicato è fondamentale e mons. Mazzolari lo ribadisce: «La Chiesa chiede la pace durante, soprattutto dopo il referendum. Abbiamo iniziato 101 giorni di preghiera, perché tutto si svolga in un clima disteso. Vogliamo promuovere nuove relazioni sociali, che vadano al di là del divario religioso e culturale, in uno spirito di riconciliazione. Continueranno a esserci chiese e moschee, a Nord come a Sud. Noi vescovi, in qualità di leader spirituali, ci impegniamo a dar voce a chi non ne ha, alle persone più vulnerabili e a offrire loro una guida in un momento cruciale nella storia del Paese. Facciamo appello ai giovani perché, immaginando soluzioni creative, entro la fine del periodo transitorio, l'8 luglio 2011, pongano le basi per costruire il futuro che desiderano. Ai media, perché si astengano dal sensazionalismo e dal veicolare messaggi di odio e di disinformazione. A tutti, perché siano rispettati i diritti e la dignità delle minoranze, a nord e a sud».
Elisabetta Gatto

© FCSF – Popoli