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Ausmerzen, lo sterminio delle «brave persone»
20 gennaio 2011
Paolini, che cosa le ha ispirato lo spettacolo Ausmerzen?
Il lavoro è iniziato da uno spunto di mio fratello Mario, che è educatore nell’ambito della disabilità. Assieme allo storico Giovanni De Martis (presidente dell’associazione Olokaustos di Venezia) ha raccolto i primi materiali. Da quelli è nato il racconto, che cerca di portare un approfondimento sul contesto storico e sulle dinamiche sociali che hanno generato l’aberrazione dell’«Aktion T4», il programma nazista di eugenetica che prevedeva la soppressione o la sterilizzazione di persone affette da malattie genetiche, inguaribili o da più o meno gravi malformazioni fisiche. Con questo racconto proviamo a indagare sul percorso che ha portato a un’operazione così capillare, che ha coinvolto persone normali e operatori, specialisti e società civile.

Perché in occasione della Giornata della Memoria ha deciso di parlare proprio dell'eliminazione dei disabili e dei malati di mente?
Perché è una storia che costringe a interrogarsi in maniera molto più radicale. Lo sterminio nei campi di concentramento è in qualche modo «rinchiuso» dietro i reticolati e questo lo allontana dalla percezione di una responsabilità collettiva. In questa storia, invece, ci ha colpito profondamente la penetrazione (non coercitiva, se non in senso propagandistico) che quelle idee hanno avuto nella «brava gente». L’atmosfera, il sentire generale ha spinto le teorie eugenetiche, ha reso accettabile ogni azione destinata a quel fine. Ausmerzen nasce da un interrogativo sul perché quella «brava gente» abbia accettato pacatamente che i deboli, i difettati, i matti fossero accompagnati all’eutanasia perché le loro vite erano «indegne di essere vissute».

Il lavoro di preparazione è stato molto complesso?
Sì. Mio fratello Mario e Giovanni De Martis hanno incontrato psichiatri e testimoni dell’«Aktion T4». Poi abbiamo proseguito insieme, avviando un approfondimento doloroso, ma necessario. Infine abbiamo incontrato, anche nel corso delle prove per questa diretta, medici, educatori, genitori, filosofi, operatori, giornalisti, ecc. con i quali abbiamo aperto un confronto. Perché quando ti raccontano quello che è accaduto, credo, ti senti chiamato in causa e non puoi far finta di nulla.

Perché ha deciso di mettere in scena il monologo all'ex ospedale psichiatrico Paolo Pini?
Nel 1979, l’Italia ha fatto una riforma coraggiosa per chiudere i manicomi e per inserire nella società gli ex-ricoverati. Il Paolo Pini di Milano è un ex manicomio ed è diventato un luogo simbolo. Oggi è uno spazio aperto, dove vivono ancora alcuni ex ricoverati. È un luogo che conosciamo bene e in qualche modo rappresenta un centro di «diversità», che è il contesto vero e crudo in cui nasce questa storia.

Quali sono gli elementi di attualità di Ausmerzen?
Ci troviamo nel mezzo di una crisi che ci ha impoveriti e che obbliga a fare scelte anche dolorose. Oggi come in quegli anni terribili. Oggi, se non ci sono soldi, si possono tagliare gli insegnanti di sostegno, si può spendere meno sull’inclusione dei «diversi» e sulla protezione delle fasce deboli. In questa storia ci sono vite spezzate, ci sono le camere a gas, ci sono gli esperimenti su cavie umane che hanno portato anche progressi in campo medico, ma è una storia che ci mette faccia-a-faccia con le scelte che una società compie o non compie.

In molti dei suoi spettacoli lei fa leva sulla memoria. Quale significato ha recuperare la memoria in un Paese che, per dirla con Indro Montanelli, «vive solo nel presente»?
La memoria ha senso se è viva, se smuove qualcosa nel passato. Ho sempre paura che ricordare significhi in qualche modo allontanare. Quindi lavoro sulla memoria per stimolare l’uso del pensiero, per evitare che la rimozione sia possibile.
In Ausmerzen ci sono comportamenti così umani da essere possibili nel presente. I protagonisti principali del racconto sono le «brave persone» che nelle loro case facevano vite normali, sono i medici di famiglia che hanno aiutato l’azione di sterminio. Ecco, qui la memoria viva costringe a vedere che nella società le «brave persone» normali possono fare cose terribili.
e.c.

© FCSF – Popoli