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Burundi, cresce la tensione
1 aprile 2014
Il Burundi rischia di esplodere? L’interrogativo è legittimo in un Paese da sempre instabile e che, negli ultimi mesi, è stato attraversato da forti tensioni sociali e politiche. Sullo sfondo, come sempre, il conflitto tra la maggioranza hutu e la minoranza tutsi, alle quali si sono aggiunte lotte per il potere. La settimana scorsa il parlamento ha bocciato un’ampia riforma costituzionale che, tra gli altri provvedimenti, assicurava al presidente Pierre Nkurunziza la possibilità di candidarsi per il terzo mandato consecutivo. Ma anche la povertà di un Paese che, a differenza del vicino Ruanda, non è riuscito a uscire da una condizione di sottosviluppo. Ne abbiamo parlato con Luca Catalano, operatore del Jesuit Refugee Service in Burundi.

Qual è la situazione sociale attuale in Burundi? Si avverte il crescere di nuove tensioni?
A meno di un anno dalle elezioni nel Paese, previste per marzo 2015, sono evidenti certe tensioni che stanno attraversando la società. In un momento delicato per l’intero panorama politico e sociale della regione dei Grandi Laghi - basti pensare alle perenne crisi in cui si trovano le regioni orientali della Repubblica democratica del Congo, la crisi diplomatica Ruanda-Sudafrica - anche in Burundi c’è attesa per il risultato elettorale e i conseguenti risvolti politici. Nel 2014 il Burundi è ancora uno tra i più poveri Paesi al mondo (178° posto su 187 Stati secondo l’indice di sviluppo umano dell’Undp 2013) afflitto da un forte tasso di corruzione (157° posto secondo i dati di Transparency international 2014). In questo contesto, larghe fasce della popolazione cercano spazio per esprimere frustrazione e rabbia. Benché ci sia da augurarsi che la protesta prenda vie democratiche e pacifiche, la storia recente del paese ci mostra che il livello di allerta è alto e che tutta la comunità nazionale e internazionale dovrà vegliare e fare tutto il possibile per garantire un processo pacifico rivolto a scongiurare ogni forma di violenza.

Dietro la bocciatura della riforma costituzionale si nascondono tensioni etniche? Oppure è una normale dialettica politica?
Il Paese è stato scosso a causa di alcune intimidazioni politiche rivolte verso due grandi partiti dell’opposizione quali Msd (Movimento per la solidarietà e la democrazia) e Uprona (Unione per il progresso nazionale) che rappresentano la minoranza tutsi. La polizia ha disperso a più riprese i manifestanti e arrestato esponenti dei due partiti accusati di atti sovversivi. I due partiti hanno invocato una situazione da caccia alle streghe e, al momento, la tensione non sembra calare. Il rientro nel Paese alla fine del 2013 di Agathon Rwasa, leader del Fnl, principale avversario politico dell’attuale partito al governo, ha contribuito ad allargare l’offerta politica, ma ha anche favorito un ulteriore incremento delle rivalità interne in seno alla comunità hutu che rimane maggioritaria.

Dopo le tensioni e la pace degli anni scorsi, il Burundi si sta riprendendo economicamente come il Ruanda?
Per differenti motivi legati alla storia recente e alle scelte politiche il Ruanda e il Burundi hanno intrapreso percorsi economici diversi. La spettacolare crescita del Pil dell’economia ruandese (dal 2001 al 2012 la media annuale di crescita del Pil è stata dell’8,1% secondo i dati della Banca mondiale) non ha avuto un corrispettivo in Burundi in cui i dati indicano un tasso di crescita nello stesso periodo tra il 2,5% e il 3,5% e connotato da una forte disuguaglianza nella ridistribuzione del reddito. Ancora oggi l’economia burundese è caratterizzata da una scarsa industrializzazione, una bassa propensione all’esportazione di prodotti manifatturieri che fa da contraltare a un’esportazione di materie prime non raffinate (caffè, tè) che non garantiscono elevati margini di guadagno. L’agricoltura di sussistenza è ancora per la stragrande maggioranza della popolazione il mezzo di sostentamento principale e la recente integrazione all’East African Commmunity (unione economica tra Kenya, Rwanda, Tanzania, Uganda e Burundi) non ha apportato benefici tangibili alla popolazione fino al momento.

Quali progetti seguite come Jrs?
Per quanto riguarda il Burundi il Jrs sta seguendo un progetto a favore dei rimpatriati burundesi rientrati dai campi profughi in Tanzania in seguito alla fine della guerra civile (1993-2005) che ha sconvolto il paese. Il Jrs focalizza i suoi interventi in progetti di formazione indirizzati specialmente a donne e figlie-madri. Formazione intesa come strumento principe di  sviluppo delle capacità umane e professionali per garantire un livello di autosufficienza alle famiglie che si trovano in situazione di estrema vulnerabilità. Inoltre è molto forte in termini di impegno il lavoro del Jrs all’Est della Rdc a causa della devastante guerra civile ancora in atto che, solo nel Nord Kivu, lascia più di un milione di sfollati in condizioni di estrema vulnerabilità e povertà nel 2014. Una guerra spesso dimenticata e che è la più brutale che ha attraversato la storia dell’Africa post-coloniale. Il Jrs dà risposta attraverso programmi di Educazione a ragazzi e ragazze rifugiate, un sostegno concreto a malati cronici e anziani attraverso medicinali e cibo, la creazione di percorsi di formazione in alfabetizzazione e mestieri per donne vittime di violenza al fine di promuovere un reinserimento sociale.

Nel frattempo però le forze militari burundesi sono state schierate a sostegno di alcune missioni di pace...

Il Burundi sta cercando di affermarsi all’interno dell’Unione africana come attore importante nelle questioni di peacekeeping su suolo africano. Un battaglione burundese è presente in Somalia, un altro (450 militari) è dispiegato in Mali e un terzo (450 soldati) è impegnato in Centrafrica. Il livello di allerta in Burundi è elevato a causa del pericolo di atti terroristici del gruppo al-Shabaab che ha già colpito con violenza Kenya e Uganda, entrambi Paesi impegnati nella stabilizzazione del fronte somalo.
Enrico Casale


© FCSF – Popoli