Abbiamo ricevuto in redazione una lettera che un nostro lettore ha inviato a Lapo Pistelli, il viceministro degli esteri italiano. È il racconto delle vessazioni che una donna eritrea sta vivendo qui in Italia da parte del consolato del suo Paese. Una storia comune a molti eritrei, perseguitati dal regime in patria e all’estero, e che il viceministro è giusto conosca dopo essere stato ricevuto dal presidente Isayas Afeworki e aver parlato di riapertura delle relazioni con l’Eritrea.
Gent. On. Lapo Pistelli, ho letto con stupore che lei, nell'ambito di un viaggio di Stato nel Corno d'Africa, è stato in Eritrea e lì ha avuto modo di incontrare Isayas Afeworki. Su questo incontro si è scritto e si è detto molto. Non voglio aggiungere commenti. Voglio solo raccontarle una storia di cui sono venuto a conoscenza ieri sera.
Dove lavoro, ogni sera viene a fare le pulizie una signora eritrea. Ha un marito e due figli. Il marito, ex ufficiale dell'esercito eritreo, è fuggito una quindicina di anni fa perché non tollerava più la durezza del regime. Arrivato in Italia ha chiesto asilo e gli è stato concesso un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Lei è arrivata poco dopo, ma con i documenti eritrei regolari. L'Italia le ha dato prima il permesso, poi la carta di soggiorno. Il regime non ha lasciato partire i figli che sono rimasti ad Asmara con i nonni. Quindi il padre non vede i figli da anni. Fino a qui le ho raccontato una storia uguale a tante altre. Sono molte le famiglie eritree che vivono in queste condizioni e quella della signora che conosco non fa differenza.
Questa signora, chiamiamola Abeba per comodita, è molto attaccata alla sua terra e non ha mai voluto prendere la cittadinanza italiana. Ha sempre e diligentemente rinnovato il passaporto pagando l'onerosa tassa del 2% sui redditi che Asmara impone ai redditi che i suoi cittadini producono all'estero. In primavera ad Abeba è scaduto il passaporto. Come in passato si è rivolta al consolato eritreo di Milano per chiederne il rinnovo. Questa estate infatti voleva andare in Svezia per incontrare alcuni parenti emigrati là. I funzionari del consolato le hanno fatto subito pagare le tasse per il rinnovo del passaporto. Poi le hanno ritirato il documento e le hanno detto che, previo accertamento sui versamenti del 2%, le avrebbero dato quello nuovo.
Dopo aver invano atteso mesi, è tornata al consolato. Qui le hanno detto che era in arretrato sul pagamento del 2% e che doveva pagare 2.400 euro. Per una donna che guadagna meno di 800 euro al mese (parte dei quali vengono inviati ai figli) si tratta di una cifra consistente. Stufa di essere vessata dai suoi compatrioti, si è informata per avere la cittadinanza italiana. In Questura le hanno presentato un foglio con tutti i documenti necessari. Tra essi il casellario penale del Paese di origine. Quindi Abeba per avere la cittadinanza italiana (ripeto: italiana!) dovrà tornare al suo consolato che, prima di farle avere il casellario giudiziario, pretenderà da lei i famosi 2.400 euro. Una dittatura, quella eritrea, che non solo controlla e vessa i suoi cittadini in patria, ma anche all'estero.
Ieri sera Abeba piangeva. Lei è una donna di fede. È copta. Mi diceva tra le lacrime: «Perché Dio mi ha fatto nascere in Eritrea? Non poteva farmi nascere in Senegal? In Nigeria? In Mali? Per me 2.400 euro sono una fortuna! Io non li ho e senza non mi danno né il passaporto, né la cittadinanza italiana. E poi dove vanno a finire questi soldi? Se li incassa il regime! Isayas e i suoi gerarchi fanno la bella vita e noi moriamo nel deserto e in mare». A Isayas i soldi non mancano. Si dice che viva bene e non si faccia mancare nulla. Soprattutto gli alcolici di cui è un grande estimatore. È grazie agli alcolici che è stato costretto a un trapianto di fegato negli Emirati. Un trapianto riuscito a quanto mi dicono. Forse è per questo che lei lo ha trovato in grande forma. Un po' meno in forma sono i cittadini eritrei costretti a fuggire dal loro Paese e vessati anche all'estero.
|