Febbraio 2000: entravo a Grozny su un autoblindo Btr dei russi. Avanzavamo lasciando solchi nel fango nelle strade intorno alla città, immersa in un silenzio spettrale. Dentro, nella cabina, lo stereo era al massimo: la musica come una droga per quei ragazzi incappucciati, armati di tutto punto, che venivano da ogni parte della Russia per «regolare la questione cecena per conto di Putin». Attorno a me soldati armati fino ai denti, ma quando si toglievano il passamontagna vedevi ragazzi di vent’anni con una faccia triste, che non sorridevano mai.
La Grozny di allora si presentava così: case senza tetto, piene di buchi, non un palazzo intatto. Dove un tempo c’erano uffici e ministeri, non rimaneva che un grandissimo piazzale, circondato da mozziconi di case. Per terra crateri, cumuli di macerie, missili inesplosi. Sullo sfondo lunghi caseggiati fantasma, dove non abitava più nessuno.
Era difficile immaginare che Grozny potesse essere di nuovo popolata. Torno in Cecenia dodici anni dopo. La capitale martoriata dai bombardamenti russi appare irriconoscibile, in pieno boom edilizio. Ma il problema politico è ancora tutt’altro che risolto e la memoria degli orrori vissuti impossibile da dimenticare. Alla guerra sono seguiti anni di deriva terroristica a cui Mosca ha reagito con sistematica violazione dei diritti umani, come denunciato da Anna Politkovskaya e da altri diventati persone «scomode al regime».
La Cecenia oggi torna a rivivere, perfino i giornalisti faticano a immaginare la portata della tragedia, nonostante qualche recente attentato. Per Oleg Orlov, presidente dell’associazione Memorial, «Grozny oggi è bella, dà l’impressione di una società in felice espansione. Succedeva la stessa cosa negli anni Trenta, nel periodo delle purghe staliniane, quando tanti intellettuali europei non vedevano i gulag e quella paura diffusa, la stessa che oggi sta dietro le pareti della ricostruita Grozny». Rispetto al 2000, di quale pace si può parlare? Basta un attentato perché si riapra la strada ai raid delle forze speciali russe e alle rappresaglie dell’ala dura della guerriglia dissidente.
Giorgio Fornoni