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Cile: minatori ok, mapuches ko
12 ottobre 2010

La maggior parte ha ripreso a nutrirsi il 4 ottobre, dopo 82 giorni di sciopero della fame, ma alcuni proseguono la protesta: 32 detenuti mapuches, in cinque diverse carceri del Cile, contestano l’applicazione della «legge antiterrorista». Pur non essendosi macchiati di violenze particolarmente efferate (i reati più gravi contestati sono avere appiccato il fuoco a stabili disabitati, mentre non si sono mai verificati morti o feriti), le autorità hanno deciso di applicare la contestata legge, che prevede, sotto la giurisdizione del tribunale militare, pene e misure detentive particolarmente restrittive.
«Nessun detenuto chiede la libertà - spiega padre Pablo Castro, gesuita che lavora da anni a fianco degli indigeni cileni a Tirúa -, chiedono solo di essere giudicati dalla giustizia ordinaria. Vari organismi che difendono i diritti umani, a livello nazionale e internazionale, così come la Commissione Onu per i popoli indigeni, considerano abusiva e discriminatoria l’applicazione della “legge antiterrorista”. Lo sciopero della fame è una misura estrema, sono anni che i mapuches sollecitano le autorità a sanare questa ingiustizia».
Grazie alla collaborazione di un altro gesuita, padre Luis García Huidobro, Popoli ha potuto contattare la portavoce dei «prigionieri politici» (così si autodefiniscono) di Temuco, Constanza Rayen. Prima di rispondere alle nostre domande, Constanza tiene a precisare che ciò che dirà vale solo per i membri di quella comunità, in osservanza a uno dei cardini della cultura mapuche («Ognuno ha il proprio pensiero»).
«Lo sciopero è terminato - spiega la portavoce – e ci sono stati passi avanti significativi da parte delle autorità, ma le nostre richieste non sono state accolte al 100%. Noi tendenzialmente non abbiamo alcuna fiducia nelle autorità winkas (lett. “invasori”, identifica i “bianchi” nella lingua mapuche, ndr) poiché storicamente ci hanno mentito sempre. Se ora è stato raggiunto un accordo è solo perché la pressione dell’opinione pubblica sul governo era molto forte. In ogni caso, ora l’opinione pubblica è testimone degli accordi, noi intendiamo fare la nostra parte, vedremo se il governo farà la sua».

Perché si è arrivati allo sciopero della fame?
«Nella nostra comunità ci sono 50 prigionieri politici condannati e ancora di più imputati in base alla “legge antiterrorista”. Dopo avere fatto ricorso alle vie legali per denunciare l’irregolarità di questi giudizi e avere incontrato solo indifferenza, l’unica opzione che restava era lo sciopero della fame, intesa come una denuncia politica, non come un atto suicida, sebbene molti prigionieri abbiano dichiarato che, se era necessario morire per denunciare questa ingiustizia, lo avrebbero fatto, anche perché molti hanno condanne superiori ai 50 anni di carcere. Il nostro popolo ama la vita, ma la libertà è un valore non negoziabile.

Che cosa chiedete alle autorità?
«Noi abbiamo sempre difeso l’innocenza dei nostri fratelli. Siamo certi che, se venissero sottoposti a un giusto processo, secondo le leggi ordinarie, molti sarebbero rimessi in libertà. A differenza di quanto avviene per gli altri cittadini, pare che per i mapuches non valga la presunzione di innocenza. C’è una chiara persecuzione politica contro le idee del nostro popolo, contro il nostro diritto di esistere come popolo senza assimilarci con quello cileno, contro le nostre richieste di condizioni di vita dignitose e di tutela delle nostre terre». 

In che senso le vostre terre sono minacciate?
«Dal 1997 è iniziato un processo di rivendicazione territoriale da parte dei mapuches, anche in un’ottica produttiva. Ma questo processo si scontra con la mancanza di terra, la scarsità di acqua e risorse naturali, risultato della voracità da parte delle multinazionali del legname, dei minerali, dell’energia idroelettrica, così come da parte dei latifondisti e dei progetti turistici. Questi appetiti hanno spinto all’isolamento le comunità mapuches, confinate nei territori più inospitali e improduttivi come quelli dell’Araucania. Così ogni giorno noi ci scontriamo con la contraddizione di vedere come così poche persone hanno così tanto, e così tanti hanno così poco».

(guarda un servizio sui mapuches trasmesso dalla televisione cilena)

© FCSF – Popoli