«L’Egitto sta vivendo una situazione di stallo in attesa delle elezioni politiche che si terranno in settembre e di quelle presidenziali che si svolgeranno in dicembre. Sono entrambe elezioni importanti perché non solo daranno una guida al Paese e ricomporranno il Parlamento, ma dovrebbero anche dare il via a una autentica riforma costituzionale che modificherà le strutture istituzionali del Paese. Ciò non significa che non stia accadendo nulla. Le forze armate continuano a controllare la situazione in modo tale che non si siano sommovimenti pericolosi. Contemporaneamente stanno nascendo molti movimenti politici». È l’analisi di Massimo Campanini, professore di Storia dei Paesi islamici all’Orientale di Napoli, che segue da vicino l’evolversi della politica egiziana dopo la rivolta che ha segnato il Paese all’inizio dell’anno.
Professor Campanini, il movimento islamico potrebbe essere il vero protagonista delle prossime elezioni?Non credo. Allo stato attuale il fronte islamista dovrebbe presentarsi diviso. Abdel Moneim Abul Futouh, uno dei massimi esponenti dei Fratelli musulmani, è uscito dall’organizzazione e ha formato un nuovo partito. Abul Futouh è un riformista. Quindi dovrebbe creare un partito islamico liberale e meno conservatore rispetto alla tendenza generale dei Fratelli musulmani. Oltre a questo partito e a quello che formeranno i Fratelli musulmani, probabilmente ne nascerà un terzo, sempre islamista e anch’esso di impronta moderata. Il fronte islamico diviso in tre sarà quindi fortemente indebolito.
La comunità cristiana creerà anch’essa un proprio partito?Il governo transitorio ha tolto il divieto, imposto fin dal tempo di Anwar Sadat, di creare partiti di orientamento religioso. Per cui, in linea teorica, le possibilità che nasca un partito cristiano ci sono. Anche se poi non so quale consistenza possa avere un partito simile, perché una formazione così connotata dal punto di vista religioso non so se sia in grado di raccogliere voti in modo trasversale. Fino ad oggi si è parlato molto di un partito cristiano, ma nei fatti, non è stato ancora creato nulla.
Quale significato politico hanno gli attentati che hanno colpito di recente proprio la comunità cristiana copta?
Secondo me questi attentati non sono rivolti ai cristiani in quanto tali ma, a mio parere, sono tentativi di agenti provocatori per sabotare il processo democratico in corso. Non mi stupirei se si scoprisse che dietro questi attentati che ci sono persone legate al regime di Mubarak: ex poliziotti, ex agenti segreti che preferiscono il «tanto peggio, tanto meglio» per boicottare la transizione. Si è anche parlato di una responsabilità di cellule di fondamentalisti islamici di matrice salafita. Può essere che siano loro i responsabili, comunque sempre in un’ottica antidemocratica.
Come si sta strutturando il fronte laico?Sul fronte laico ci sono molti movimenti. Credo che «6 Aprile» e «Kefaya!», le formazioni nate dalla rivolta di Piazza Tahrir, se presenteranno proprie liste, potranno ottenere ottimi risultati. Sono anche curioso di vedere se e in quale forma rinascerà il Partito nazionale democratico, il partito di Hosni Mubarak. Perché, se è vero che il partito è stato sciolto, non sono scomparse tutte quelle forze e quegli interessi che gravitavano intorno ad esso. Io penso che una formazione di questo tipo (che certamente si schiererà sul fronte laico) prenderà di nuovo forma e potrebbe anche avere un buon successo. Per quanto riguarda gli altri partiti laici, quelli di orientamento di sinistra corrono il rischio di frantumarsi in mille rivoli e quindi di non essere rappresentativi.
Quali rapporti instaurerà il nuovo Egitto con Israele e con gli Stati Uniti?
La pace con Gerusalemme è sempre stata fredda, anche se Mubarak ha seguito una politica di passività nei confronti di Israele e degli Usa. Quindi è probabile che un nuovo governo democratico assumerà una posizione meno accondiscendente verso Israele e più autonoma rispetto agli Stati Uniti. Ciò, a mio parere, non può che essere un bene: un Egitto più forte e determinato potrebbe aiutare la causa palestinese e potrebbe favorire un autentico processo di pace.
Quali relazioni ci saranno con l’Iran, l’altra potenza regionale?Il nuovo governo cercherà di mantenere buoni rapporti con tutti gli attori regionali e, quindi, anche con l’Iran. Credo però che una politica più dinamica dal punto di vista diplomatico non voglia dire una subordinazione nei confronti dell’Iran. L’Egitto è un Paese sunnita, l’Iran è sciita. Gli interessi geopolitici sono diversi. Per cui è possibile che migliorino i rapporti senza una subordinazione delle politiche egiziane alle esigenze iraniane.
Enrico Casale