Le dimissioni del Pontefice hanno rappresentato un evento unico che destato sorpresa non solo nella società civile, ma nella stessa Chiesa. Molti religiosi si sono interrogati sia sul ruolo di Benedetto XVI sia sul significato della sua decisione di lasciare. Tra essi non sono mancati diversi commenti da parte di alcuni gesuiti italiani e stranieri.
Un «gesto di umiltà e di libertà»: così Antonio Spadaro, gesuita, direttore de
La Civiltà Cattolica, ha definito sul suo blog Cyberteologia le dimissioni. Benedetto XVI, secondo padre Spadaro, «sa di aver svolto il suo ministero fino in fondo. Adesso si rende conto che la situazione che il mondo e la Chiesa vivono è completamente cambiata rispetto anche a pochi anni fa. C’è bisogno di vigore». «Davanti a Dio e alla sua coscienza - prosegue il gesuita - si rende conto di non averlo. Per questo lascia ad altri il testimone, ritirandosi in preghiera e in silenzio. Ma non senza dirci che la motivazione del suo gesto non è la rinuncia, ma una visione aperta sul mondo e la certezza interiore della vocazione della Chiesa». Benedetto XVI, conclude padre Spadaro, passa il testimone perché «la missione sia sempre al centro. E lo fa con grande responsabilità e libertà di spirito».
«Tutti coloro che pensavano che lo Spirito potesse soffiare solo dal basso, nei margini della Chiesa, nelle parti più "rivoluzionarie", sono stati smentiti - ha scritto Giacomo Costa, gesuita, direttore della rivista Aggiornamenti Sociali -. "Lo Spirito soffia dove vuole", dice il Vangelo di Giovanni. Anche "ai piani alti". Questo, aggiungiamo, può anche insegnare qualcosa anche al nostro Paese, e darci una speranza supplementare, in un momento in cui lo scoraggiamento e lo disfattismo sono alle porte: i cambiamenti non avvengono per forza solo dal basso. Anche chi ha responsabilità di governo può essere segno di un vero cambiamento, il segno di un vento nuovo. A condizione di essere animato dalla libertà interiore che viene dal sapersi a servizio di un bene comune che lo trascende.
In un editoriale, Drew Christiansen, ex direttore e oggi autorevole commentatore di
America, il settimanale della Compagnia di Gesù negli Stati Uniti, ha ripercorso i passaggi salienti del breve pontificato. Un pontificato, a suo dire, con luci e ombre. Dove le ombre sono rappresentate dalle censure alle teologhe statunitensi Elizabeth Johnson e Margaret Farley, per le loro posizioni troppo liberal, la riforma del messale in inglese (accettato con scetticismo da una parte dei cattolici anglosassoni) e le aperture ai lefebvriani. Mentre le luci sono i richiami a una profonda riforma delle politiche sociali e alla regolamentazione del settore finanziario mondiale, così come il viaggio in Turchia nel quale ha «dimostrato coraggio nel voler ricostruire i rapporti con il mondo islamico». Padre Christiansen sottolinea anche l’importanza per la Chiesa cattolica statunitense delle scuse che il Pontefice ha presentato alle vittime dei sacerdoti pedofili.
Andrew Hamilton, gesuita, commentatore di
Eureka Street, sito dei gesuiti australiani, insiste invece sulla rilevanza per la Chiesa cattolica delle dimissioni del Pontefice. «Giovanni Paolo II - scrive padre Hamilton - ha sofferto molto negli ultimi anni del suo pontificato. Questa sofferenza era vista come un’accettazione eroica della debolezza e una dimostrazione del valore della fragilità e della vecchiaia in una società che le disprezza. La resistenza e il coraggio del Papa polacco erano ammirabili e il valore della vecchiaia è innegabile». Però, continua il gesuita australiano, «il Papa deve fare il bene della Chiesa ed è difficile comprendere come la Chiesa possa essere guidata in modo positivo da una persona incapace di adempiere in pieno ai suoi doveri». Le dimissioni di Benedetto XVI, in sostanza, sono importanti perché permettono di riflettere sulla durata del servizio non solo del Papa, ma anche delle altre persone che guidano la Chiesa.
«Penso che quello di Benedetto XVI sia stato un gesto coraggioso - aggiunge George Coyne, gesuita, ex direttore dell’Osservatorio Vaticano che ha conosciuto molto bene Papa Ratzinger -. Credo che lui sia personalmente convinto di non poter continuare nella sua funzione perché non gode più di buona salute. Va tenuto presente che Benedetto XVI, quand’era cardinale, ha vissuto l’invecchiamento di Giovanni Paolo II e ciò lo ha influenzato molto. Secondo me non voleva che la Chiesa rivivesse un periodo come quello».
Enrico Casale