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Il Senegal e l'incognita Wade
21 febbraio 2012
«La comunità internazionale deve capire che la crisi politica senegalese non è solo una questione interna del Paese. Il Senegal è sempre stato una nazione molto attiva nell’Africa occidentale e la sua instabilità può contagiare tutta la regione». Chi parla è Aly Baba Faye, sociologo, esponente di spicco della diaspora senegalese in Italia. Nelle parole che pronuncia c’è la preoccupazione sua e di moltissimi suoi compatrioti nei confronti di una impasse politica che sta degenerando nella violenza mano a mano che si avvicinano le elezioni presidenziali fissate per domenica 26 febbraio.

Quando e perché è scoppiata la crisi senegalese?
La crisi ha origini lontane. Quando Abdoulaye Wade è stato eletto nel 2000 la costituzione prevedeva un mandato presidenziale di 7 anni. Nel 2001 il presidente ha modificato la carta fondamentale riducendo il mandato a 5 anni, attuando così il programma che aveva concordato con la coalizione che lo sosteneva. Nel 2007 si è ricandidato ed è stato eletto di nuovo. Quest’anno quindi scadeva il secondo mandato. Il nodo costituzionale è questo: il primo mandato non va conteggiato e quindi Wade può ricandidarsi? Oppure va tenuto conto anche del primo mandato e quindi non può più presentarsi per un terzo mandato come prevede la Costituzione? Il Consiglio costituzionale, che non è la Corte costituzionale ma un organo di nomina presidenziale, ha riconosciuto la validità della sua candidatura, scatenando così le proteste popolari.

Perché un uomo di 86 anni che ha governato il suo Paese per 12 ed è stato all’opposizione per quasi 30 anni si ostina a ricandidarsi?
Molti sospettano che voglia passare il potere al figlio Karim, trasformando così la repubblica senegalese in una sorta di monarchia. Ma credo che non sia solo questo motivo a spingerlo a ricandidarsi. Si teme che a forzarlo siano i suoi stessi collaboratori. Sono personaggi che gravitano intorno al presidente da anni e, grazie a lui, avrebbero concluso affari poco chiari. Quindi temono che, caduto Wade, possano essere chiamati davanti alla giustizia a rispondere di corruzione o di riciclaggio del denaro proveniente da attività illecite (sotto la leadership di Wade, il Senegal è diventato una delle piazze più attive in questa attività).
Forzare la Costituzione va contro la storia di Wade che è stato un oppositore che credeva nei valori democratici e che in 30 anni di opposizione non ha mai tentato un colpo di Stato. Quando ha preso il potere lo ha fatto in modo legale. Il vero problema adesso è farlo dimettere.

L’opposizione pare divisa. In questi mesi non è nemmeno riuscita a presentare una candidatura unica.
L’opposizione non si è coagulata intorno a un solo candidato perché hanno giocato troppo le ambizioni personali dei singoli candidati. Eppure le premesse erano buone. Nel 2011 i partiti di minoranza hanno partorito un programma di riforme molto interessante, alla cui redazione hanno partecipato anche esperti e membri della società civile. Poi, nonostante l’intesa sul programma, i candidati sono andati ognuno per sé.

La situazione dell’ordine pubblico sta degenerando. Nelle grandi città da settimane la gente scende in piazza a protestare. Che cosa spinge le persone a dimostrazioni spesso violente? Se domenica prossima Wade dovesse vincere potrebbe scoppiare la guerra civile?
In Senegal la situazione sta diventando drammatica. Le proteste hanno già fatto una decina di morti e continuano. Domenica scorsa i quartieri periferici di Dakar si sono sollevati in modo violento. Se il 26 febbraio vincerà Wade (si sa che sta già organizzando brogli) non so se scoppierà la guerra civile, certamente continueranno le dimostrazioni. Per il presidente sarà difficile governare se non utilizzando mezzi dittatoriali. Il vero problema però è se si terranno o meno le elezioni domenica prossima. Wade potrebbe anche rinviarle, sostenendo che è impossibile gestire una tornata elettorale in una situazione di instabilità. Potrebbe quindi chiedere poteri speciali e rinviare sine die il ricorso alle urne. Cosa accadrebbe se succedesse una cosa del genere? Credo che potrebbe solo aumentare la spirale di violenza in atto.
Un’altra incognita sono i militari e le forze di polizia. I membri di entrambe hanno già votato e per il momento sono rimasti fedeli al presidente. Ma se qualche ufficiale superiore dovesse smarcarsi dalla presidenza, come finirà?

Quale ruolo giocano le comunità religiose?
Dal punto di vista politico le comunità religiose non hanno una grande influenza. Wade è stato il primo presidente senegalese ad aver fatto della fede un fatto pubblico quando si era recato a omaggiare i marabutti a Touba, la città santa dei murid. Cercava in questo modo di accrescere il consenso sfruttando l’elemento religioso. È anche vero che questo tentativo non è andato a buon fine e le comunità musulmana e cristiana non si sono mai schierate apertamente a suo favore.
In questi ultime settimane poi ha fatto di tutto per alienarsi l’amicizia dei religiosi. Venerdì 17 la polizia ha lanciato lacrimogeni in una moschea che fa parte della confraternita Tidjanya (la seconda nel Paese dopo quella muride) suscitando le proteste della comunità musulmana. Questo incidente si aggiunge a una battuta poco felice del presidente contro i cristiani. È successo quando Wade ha inaugurato la statua della Rinascita, un’opera inutile e costosissima. Di fronte alle critiche dei religiosi cristiani, lui ha risposto: «Perché ve la prendete contro una rappresentazione? Cristo non è forse rappresentato inchiodato a un pezzo di legno?». La comunità cristiana si è, giustamente, risentita.

Qual è la reazione della comunità internazionale?
Qualche giorno fa Alain Juppè, il ministro degli Affari esteri francese, parlando della situazione senegalese ha detto che serve un ricambio generazionale. Wade ha risposto che lui non deve rispondere dei suoi atti alla Francia e, se mai dovesse dare risposte alla Francia, le darebbe al presidente Sarkozy e non a un ministro. Gli Stati Uniti hanno fatto sapere che loro sono contro ogni repressione e ogni forzatura. Per il momento non hanno ancora detto che la candidatura di Wade è illegittima, anche se lo hanno fatto capire. L’Unione africana ha creato un’unità di crisi guidata dall’ex presidente nigeriano Olesugun Obasanjo. Questi sta cercando di mediare chiedendo garanzie di trasparenza nel processo elettorale. Ma quanto vale questa richiesta? Wade ha detto che le elezioni saranno libere e garantite da osservatori internazionali. Io sono sicuro che la gente potrà andare a votare in modo libero e senza costrizioni. Ma il sistema burocratico di controllo e di conteggio dei voti sarà equo? Già adesso siamo a conoscenza di irregolarità, non servono osservatori internazionali a certificarlo. In più Paesi africani abbiamo assistito a dittature che organizzavano elezioni formalmente corrette, ma nella sostanza pilotate dai regimi.

Come sta reagendo la diaspora senegalese?
La diaspora e l’opinione pubblica senegalese sono divise. La mia sensazione però è che la diaspora in Nord America e in Europa sia in maggioranza contraria a Wade. L’umore che si sente è questo. Anche in Italia ci sono state manifestazioni antipresidenziali che hanno portato addirittura all’occupazione del consolato a Milano. Poi ci sono preferenze diverse rispetto ai diversi candidati che si candidano alle elezioni. Ma questo è normale. Youssou N’Dour (che è stato definitivamente escluso dalla tornata elettorale) era più amato in patria che non all’estero, dove è ritenuto incapace di governare. Ibrahim Fall invece è più amato all’estero che non nel Paese. L’ex primo ministro Macky Sall ha un buon sostegno nella diaspora, soprattutto nelle comunità senegalesi in Africa.
Enrico Casale

© FCSF – Popoli
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