Ignoranza, pregiudizio, stereotipi hanno contribuito più a scaldare gli animi che a fare chiarezza sulle questioni legate al dialogo interreligioso in Nigeria. Quasi ogni nigeriano istruito vuole dire la propria, quasi fosse un esperto, sul dialogo tra le fedi. Paradossalmente, questo sfrenato entusiasmo su questioni così delicate e complesse è parte stessa del problema: il fatto che tutti vogliano dire la loro, che tutti dicano di sapere significa che sono poche le persone disposte ad ascoltare che cosa gli esperti possono dire in materia.
Ci sono vari equivoci in merito a che cosa sia il dialogo. Innanzitutto è diffusa l’idea che esso debba concentrarsi su come cristiani e musulmani possono vivere insieme pacificamente. Il presupposto quindi è che esistono problemi tra cristiani e musulmani e che il dialogo potrebbe risolverli. Inoltre si pensa comunemente che il dialogo debba essere portato avanti dalle autorità religiose delle due parti e che si realizzi solo attraverso incontri, seminari, conferenze, nel chiuso di una stanza o intorno a un tavolo; che questi eventi siano promossi e avvengano sotto la supervisione del governo federale e di quelli statali; infine, che i leader di tutte le parti diano il loro meglio per raggiungere una coesistenza pacifica, chiamando i governi a sostenere queste iniziative.
Se fosse realmente così, i nigeriani oggi vivrebbero in un paradiso. Invece, come possiamo notare quasi quotidianamente, le cose continuano a peggiorare. Che cosa dice a noi cristiani e ai musulmani tutto ciò? Il problema è nella diagnosi, nel paziente o nella terapia? Se la diagnosi e la terapia fossero corrette, e se il paziente si fosse sottoposto al regime di cura, qualche segnale di guarigione si sarebbe visto. Purtroppo, così non è stato. E quanto sta avvenendo in Nigeria lo dimostra.
Ho usato questa metafora medica perché finora è stata posta poca attenzione alla diagnosi dei problemi che affliggono il Paese e non si è compreso come il nocciolo della questione - e la sua soluzione - non sia il dialogo in sé. Mentre le autorità islamiche e quelle cristiane continuano a proporsi come promotrici del dialogo, c’è il pericolo che la religione sia erroneamente presentata come la colpevole di un delitto commesso da altri. Mi riferisco in particolare allo Stato, in cui il livello di corruzione è elevatissimo. È da qui che vorrei partire per dimostrare perché questo tipo di dialogo non è stato efficace nel mettere fine al conflitto in Nigeria.
LE RADICI DEL CONFLITTOIl problema è anzitutto storico e affonda le sue radici nel rapporto tra i missionari cristiani e l’amministrazione coloniale britannica. Nella Nigeria settentrionale, ad esempio, la Gran Bretagna adottò quella che era definita una «politica di non interferenza», nel nome della quale diede vita a nuovi insediamenti per non musulmani e commercianti separati dai centri abitati. Questa architettura da apartheid creò un muro di separazione tra i fedeli delle due religioni, che vivevano divisi, senza contatto né dialogo. Le città crescevano senza alcuna armonia. In molte città del Nord i cristiani erano e sono visti come stranieri, e i loro luoghi di culto sono confinati in zone specifiche. Questa è ancora una delle principali fonti di tensione, sofferenza e conflitto in molti Stati settentrionali.
Nel periodo post-coloniale, i governi che si sono succeduti hanno poi commesso una serie di errori nella scelta dei leader religiosi con i quali confrontarsi. Nell’islam gli emiri, che il governo riconosce come autorità religiose, sono nominati proprio dal governo statale e sono quindi di fatto un’espressione dell’esecutivo, che paga i loro stipendi con fondi pubblici. L’islam non ha una leadership simile a quella delle Chiese cristiane ed è quindi sbagliato paragonare il ruolo degli emiri a quello, ad esempio, dei vescovi.
Nel corso degli incontri, delle conferenze e dei colloqui bilaterali non sono poi emersi leader religiosi in grado di esprimere posizioni ferme e forti nei confronti delle politiche del governo federale. Ciò significa che le autorità religiose non hanno il coraggio di parlare chiaro quando si tratta di affrontare e risolvere i veri problemi del Paese.
Va detto che di questi problemi non è responsabile solo la classe politica attuale. La Nigeria deve infatti fare i conti con la nefasta eredità lasciata dai militari che, per più di trent’anni, hanno distrutto le fondamenta democratiche del Paese. Abolita la Costituzione e messi al bando i partiti, i nigeriani si sono rifugiati nella religione come unica dimensione ancora in grado di rispondere alle loro istanze spirituali e socioeconomiche. Così, in assenza di uno spazio di impegno civile, la religione ha avuto un ruolo sempre più importante. Un ruolo che, nel tempo (anche con il ritorno alla democrazia), ha assunto sempre più i connotati politici. Con inevitabili degenerazioni. Perché il terreno di confronto tra le fedi è diventato un campo di battaglia nel quale la religione è sempre più uno strumento di lotta più che un naturale luogo di incontro.
CAPRI ESPIATORIA ciò si aggiunge il fatto che, in assenza di una vera Costituzione, i militari sono riusciti a indebolire anche il potere giudiziario. Un sistema giudiziario fragile ha creato un clima di impunità. Le tensioni venivano risolte per la strada, perché i cittadini non sapevano con certezza dove ottenere giustizia. Il malcontento diffuso e le proteste contro gli eccessi dei militari finivano e finiscono spesso nel calderone delle tensioni interreligiose. Quelli che sono disordini civili vengono definiti conflitti religiosi anche perché spesso vengono bruciate e distrutte le chiese. Con uno Stato debole e una giustizia fragile, incapace di punire il crimine, i religiosi sono diventati i capri espiatori di un malessere generale. Si è così radicata la convinzione che ci sia un conflitto generalizzato tra cristiani e musulmani.
Nelle tensioni religiose giocano infine un ruolo importante anche i finanziamenti pubblici alle organizzazioni religiose. I leader musulmani e cristiani sono spesso in polemica tra loro sul sostegno economico alle loro iniziative (pellegrinaggi, opere benefiche, ecc.). Questa ricerca di finanziamenti si scontra sempre più spesso con la piaga della corruzione, che ha ridotto la capacità dello Stato di offrire ai propri cittadini politiche serie ed efficaci a favore della popolazione.
Finché lo Stato nigeriano non sarà in grado di garantire un governo stabile e non vorrà rafforzare la legalità, la nostra nazione resterà come un contenitore di materiale infiammabile capace di esplodere alla minima scintilla. Quando il governo compirà davvero il suo dovere, i cristiani e i musulmani potranno dialogare e potranno mettere le loro fedi al servizio dello sviluppo del Paese invece che essere trascinati nell’agone politico.
Matthew Hassan Kukah
Vescovo di Sokoto